TRIBUNALE ORDINARIO DI AVEZZANO 
 
    Il Tribunale, nella persona dei Giudici: 
    dott. Eugenio Forgillo, Presidente relatore; 
    dott. Andrea Dell'Orso - Giudice; 
    dott. Francesco Lupia - Giudice; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza, nella  causa  civile  di  I
Grado  iscritta  al  n.r.g.  1679/2015  promossa  da:  S.  T.  (...),
elettivamente domiciliato in via  Garibaldi,  n.  195,  Avezzano  con
l'avv. Cipolloni Walter (CPLWTR72B04A515C), dal quale rappresentato e
difeso, attore/i; 
    e pubblico  ministero  presso  la  Procura  della  Repubblica  di
Avezzano (81004370664), convenuto/i. 
 
                             Conclusioni 
 
    Parte attrice ha concluso come verbale d'udienza di  precisazione
delle conclusioni del 29 giugno 2016. 
 
                    Ragioni di fatto e di diritto 
 
1 - Svolgimento del processo. 
    Con atto di citazione ai sensi della  legge  n.  164/1982  e  ss.
modifiche,  parte  attrice  chiedeva  al  Tribunale  di  Avezzano  di
disporre la rettificazione di attribuzione di sesso, con  conseguente
ordine all'Ufficiale dello stato civile del Comune  di  ....  (AQ)  o
altro  competente  di  effettuare  la  rettificazione  nel   relativo
registro, dell'atto concernente T. S. (...) da sesso maschile a sesso
femminile, con cambiamento del nome a T. A., nonche' l'autorizzazione
in via preventiva e futura e  soprattutto  eventuale  all'adeguamento
dei caratteri sessuali con trattamento medico chirurgico. 
    Nel corso dell'istruttoria veniva disposta la  CTU  con  seguente
quesito «Dica il CTU  attraverso  accertamenti  medico  legali  sulla
persona, eventuale somministrazione di test o  colloqui  clinici,  se
necessari, se l'attore, anche a  seguito  della  terapia  ormonale  e
percorso  psicologico  in  atto,  come  da  documentazione  in  atti,
percepisce la propria identita'  sessuale  come  sesso  femminile,  e
quali interventi sono necessari per il mutamento effettivo di  sesso.
Dica se sussiste nell'attore una  identificazione  formale  sotto  il
profilo psicologico tale da rendere necessario il mutamento dei  dati
anagrafici  e  tratti  somatici  e  caratteri  sessuali,  accerti  se
sussiste  nell'attore  una  conflittualita'   tra   sesso   anatomico
identita' di genere e verifichi l'idoneita' dello stesso a sottoporsi
a un cambiamento di genere». 
    All'udienza del 29 giugno 2016 la causa veniva trattenuta per  la
decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. 
    Scaduti i suddetti termini - sospesi nel  periodo  feriale  -  la
questione viene ora in rilievo. 
2 - La petizione di parte attrice. 
    Per  una  compiuta  analisi  della  questione  in   esame   giova
riprendere  alcuni  passi  della  conclusionale  di  parte   attrice,
riepilogativi dell'evoluzione giurisprudenziale sulla  materia.  Cio'
in quanto «l'attrice, nel richiedere  la  rettificazione  di  genere,
esclude il ricorso all'intervento chirurgico» (letterale). 
    I passi che seguono riportati in caratteri  piu'  piccoli  e  con
rientri di paragrafo sono integralmente estratti dalla  conclusionale
di parte attrice. 
        «Sul punto si fa rilevare la crescente sensibilizzazione  dei
Tribunali   di   merito    (1)     sulle    problematiche    connesse
all'imprescindibilita' o meno di  un  intervento  chirurgico  per  la
riattribuzione    anagrafica    del    sesso    in     considerazione
dell'invasivita' dell'intervento richiesto che ha  portato  poi  alle
sentenza della Corte di cassazione  (n.  15138/2015)  e  della  Corte
costituzionale   (n.   221/2015)    ampiamente    citate    nell'atto
introduttivo. 
    Lo scarso rigore  terminologico  della  disposizione  e  la  gia'
evidenziata vaghezza dell'espressione  «modificazione  dei  caratteri
sessuali» avevano,  altresi',  determinato,  all'interno  del  filone
giurisprudenziale che riteneva comunque imprescindibile  l'intervento
chirurgico, significativi scostamenti in ordine al tipo e al grado di
invasivita' dell'intervento chirurgico minimo ritenuto necessario  ai
fini della rettificazione. 
    In difetto di  specificazione  normativa,  infatti,  l'intervento
richiesto ben poteva riguardare la  demolizione  dei  soli  caratteri
sessuali esterni (2) , oppure anche di quelli interni (3)   ,  ovvero
che fosse sufficiente l'intervento demolitorio di  tutti  (o  alcuni)
dei caratteri sessuali preesistenti (4)  o, al contrario,  che  fosse
necessario  l'ulteriore  e  delicato  intervento  ricostruttivo   dei
caratteri propri del nuovo sesso (5) . 
    Omissis. 
    In questo contraddittorio  panorama  giurisprudenziale,  infatti,
poteva accadere che, da un lato, un/a transessuale non  ottenesse  la
rettificazione di sesso (pur avendo  affrontato  un'invasiva  terapia
ormonale e la demolizione dei caratteri sessuali primari e secondari)
soltanto perche',  temendo  per  la  propria  salute,  non  si  fosse
sottoposto/a  (anche)  alla  riattribuzione  chirurgica  del   sesso;
dall'altro,   altro/a    transessuale    ottenesse    la    richiesta
rettificazione   pur   in    difetto    di    qualunque    intervento
medico-chirurgico perche', secondo il  diverso  tribunale  adito,  si
poteva procedere ad un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della norma. 
    La Corte costituzionale, si ribadisce, ha anzitutto rilevato  che
l'art. 1, comma 1, della legge n. 164/1982 "...costituisce  l'approdo
di un'evoluzione culturale e normativa volta  al  riconoscimento  del
diritto  all'identita'  di  genere  quale  elemento  costitutivo  del
diritto  all'identita'   personale,   rientrante   a   pieno   titolo
nell'ambito dei diritti fondamentali  della  persona  (art.  2  della
Costituzione e art. 8 CEDU)". 
    La legge n. 164 del 1982, infatti,  ha  accolto  un  concetto  di
identita' sessuale  che  conferisce  rilievo  non  solo  agli  organi
genitali  esterni,  quali  accertati  al  momento  della  nascita   o
"naturalmente  evolutisi",  ma  anche  ad   elementi   di   carattere
psicologico e sociale. 
    Presupposto della disciplina, in questa prospettiva, e' dunque la
concezione  di  sesso  quale  dato   complesso   della   personalita'
determinato da un  insieme  di  fattori  dei  quali  va  agevolato  o
ricercato l'equilibrio. Non solo. La legge si colloca,  ha  affermato
la Corte, nell'alveo di una civilta' giuridica ancora in  evoluzione,
sempre piu' attenta ai valori di liberta' e  dignita'  della  persona
umana, valori ricercati e tutelati anche nelle situazioni minoritarie
ed considerate "anomale". 
    Venendo alla specifica disposizione  oggetto  di  censura,  nella
sentenza si legge che il fatto  che  essa  preveda,  senza  ulteriori
specificazioni, che "La rettificazione si fa  in  forza  di  sentenza
passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso  da
quello enunciato  nell'atto  di  nascita  a  seguito  di  intervenute
modificazioni dei suoi  caratteri  sessuali",  indica  che  e'  stato
lasciato all'interprete il compito di definire il perimetro  di  tali
modificazioni e delle modalita' attraverso le quali realizzarle. 
    Ed invero, la mancanza di qualsivoglia riferimento testuale  alle
modalita'  (chirurgiche,  ormonali,   ovvero   conseguenti   ad   una
situazione  congenita),  ha  portato  la  Consulta  ad  escludere  la
necessita',  ai  fini  dell'accesso   al   percorso   giudiziale   di
rettificazione  anagrafica,  del  trattamento  chirurgico,  il  quale
costituisce  solo  una  delle  possibili  tecniche   per   realizzare
l'adeguamento dei caratteri sessuali. 
    In coerenza con i supremi valori costituzionali,  pertanto,  essa
ha stabilito che e' rimessa al singolo, con l'assistenza del medico e
di altri specialisti, la scelta delle modalita' attraverso  le  quali
realizzare  il  percorso  di  transizione,  il  quale  deve  comunque
riguardare gli aspetti  psicologici,  comportamentali  e  fisici  che
concorrono a comporre l'identita' di genere. 
    In coerenza con i supremi valori costituzionali,  pertanto,  essa
ha stabilito che e' rimessa al singolo, con l'assistenza del medico e
di altri specialisti la scelta delle modalita'  attraverso  le  quali
realizzare  il  percorso  di  transizione,  il  quale  deve  comunque
riguardare gli aspetti  psicologici,  comportamentali  e  fisici  che
concorrono a comporre l'identita' di genere. 
    Di conseguenza, ad ogni istanza di rettificazione anagrafica deve
seguire  un  rigoroso   accertamento   giudiziale   delle   modalita'
attraverso le quali il  cambiamento  e'  avvenuto,  nonche'  del  suo
carattere definitivo, ma il trattamento chirurgico, in  quest'ottica,
costituisce solo, viene ribadito, uno strumento eventuale,  che  puo'
aiutare  a  raggiungere  la  tendenziale  corrispondenza  dei  tratti
somatici con quelli del sesso di appartenenza e il  conseguimento  di
un pieno benessere. 
    Il Giudice delle leggi ha, inoltre,  osservato  come  vada  letto
nella soprindicata prospettiva anche il riferimento alla eventualita'
del trattamento medico-chirurgico di  cui  all'art.  31  del  decreto
legislativo n. 150  del  2011:  il  legislatore  ha  voluto  lasciare
apprezzare al giudice, nell'ambito del procedimento di autorizzazione
all'intervento,  la  sua  effettiva  necessita',  in  relazione  alle
specificita' del caso concreto. 
    In particolare, l'intervento e' auspicabile nei casi  in  cui  la
divergenza tra  sesso  anatomico  e  psicosessualita'  determina  nel
transessuale un atteggiamento di  rifiuto  della  propria  morfologia
anatomica. In conclusione,  la  Consulta  ha  affermato  l'importante
principio secondo cui la corrispondenza fra sesso anatomico  e  sesso
anagrafico e' recessiva rispetto alla prevalente tutela della  salute
dell'individuo, con la conseguenza che  l'intervento  chirurgico  non
puo' mai essere un  prerequisito  per  accedere  al  procedimento  di
rettificazione  anagrafica,  ma  solo  un  possibile  mezzo  per   il
conseguimento della salute intesa in senso lato. 
    Il diritto all'identita' di genere, quale espressione del diritto
all'identita'   personale   (art.   2   Cost.   e   art.   8   CEDU),
nell'interpretazione  abbracciata  dalla  Consulta,  risulta   quindi
pienamente rispettato sia dall'art. 1, comma 1, della legge 14 aprile
1982, n. 164, sia dall'art. 31 del decreto  legislativo  n.  150  del
2011. Queste disposizioni, inoltre, lette nei predetti  termini,  non
contrastano affatto, ma anzi promuovono, anche la piena realizzazione
del diritto alla salute. 
    Omissis. 
    Alla  luce  delle  considerazioni  svolte   va   osservato   come
l'indirizzo giurisprudenziale che autorizzava  la  rettificazione  di
attribuzione  di   sesso   "solo   previo   intervento   chirurgico",
tendenzialmente maggioritario nel nostro  Paese  sino  alla  sentenza
della Corte costituzionale n. 221/2015 e di  quella  della  Corte  di
cassazione n.  15138/2015,  fosse  in  contrasto  non  solo  con  gli
articoli 2, 3  e  32  della  Costituzione,  ma  anche  con  l'art.  8
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (come interpretato dalla  giurisprudenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo,  da  ultimo  nel  caso  Y.Y.  c.
Turchia) e con i piu' recenti  strumenti  di  soft  law  in  tema  di
transessualismo. 
    La  sentenza  della   Consulta,   in   questa   prospettiva,   ha
condivisibilmente allineato la lettura di  una  disposizione  aperta,
oltre che alla Costituzione, alle fonti sovranazionali, evitando  che
la  questione,  portata  dinanzi  alla  Corte  europea  dei   diritti
dell'uomo, potesse portare ad una condanna  dell'Italia  per  ragioni
analoghe a quelle del caso turco. 
    In conclusione la Corte costituzionale e la Corte di  cassazione,
indicando  ai  giudici  il  percorso  argomentativo  che   rende   la
disposizione  censurata  compatibile  con  i  valori  supremi   della
Costituzione, hanno altresi' allineato il  diritto  vivente  italiano
alle fonti sovranazionali». 
3 - Inquadramento della fattispecie. 
    Indubbiamente parte attrice  ricostruisce  in  termini  lucidi  e
fedeli l'interpretazione delle norme di riferimento.  Tuttavia,  come
si dira' piu' oltre, non possono condividersi nella loro  assolutezza
alcune conclusioni della parte attrice. 
    Sino ad un recente passato la gran  parte  della  giurisprudenza,
sulla base della constatazione  che  in  biologia  si  distinguono  i
caratteri sessuali primari dai secondari, identificandosi i primi con
gli  organi  genitali   e   riproduttivi,   i   secondi   con   altre
caratteristiche  psicofisiche,  quali  la  conformazione  fisica  del
corpo, il timbro della voce, gli atteggiamenti esteriori  percepibili
all'esterno, la rettificazione del sesso veniva concessa solo  se  il
richiedente  avesse  dimostrato   l'intervenuta   modificazione   dei
caratteri sessuali «primari» mediante intervento medico-chirurgico di
ablazione e ricostruzione degli organi genitali e riproduttivi ovvero
la disponibilita' ad eseguirli previa autorizzazione del tribunale. 
    La giurisprudenza piu' recente, invece, si riassume nel  seguente
principio: «Ai fini della rettificazione anagrafica del sesso  (nella
specie, da maschio a femmina), non e' necessario un previo intervento
chirurgico  demolitivo  e/o  modificativo  dei   caratteri   sessuali
anatomici primari, allorche' vi sia stato l'adeguamento dei caratteri
sessuali secondari estetico-somatici e ormonali e sia stata accertata
(tenuto conto  dell'interesse  pubblico  alla  certezza  degli  stati
giuridici) l'irreversibilita', anche  psicologica,  della  scelta  di
mutamento del sesso da parte dell'istante» (Cass. n. 15138/2015). 
    Dopo aver premesso che  le  norme  di  diritto  positivo  interno
applicabili nella specie devono essere  interpretate  alla  luce  dei
principi costituzionali e di provenienza  della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, in particolare gli articoli 2, 3, 32 della Costituzione
e l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, i  giudici  di  legittimita'
riconducono il diritto al cambiamento di sesso nell'area dei  diritti
inviolabili della persona, secondo quanto stabilito dalla sentenza n.
161 del 1985 della Corte costituzionale, per la quale  «la  legge  n.
164 del 1982 si colloca  nell'alveo  di  una  civilta'  giuridica  in
evoluzione, sempre piu' attenta ai valori, di  liberta'  e  dignita',
della persona umana, che ricerca  e  tutela  anche  nelle  situazioni
minoritarie ed anomale». 
    In  particolare,  l'interpretazione  data   dalle   giurisdizioni
superiori fonda la lettura costituzionalmente orientata sulla massima
espressione del diritto all'identita' personale in  correlazione  col
diritto alla salute, senza (quasi) occuparsi della rilevanza  sociale
del mutamento di sesso. 
    La Corte costituzionale ha avallato  la  versione  fornita  dalla
Cassazione nel 2015  con  una  lettura  costituzionalmente  orientata
della normativa vigente (Corte costituzionale sentenza n.  221/2015),
che, tuttavia, non esamina direttamente alcune problematiche  di  cui
v'e' trattazione nelle motivazioni seguenti, sicche' non  v'e'  alcun
vincolo nell'interpretazione da parte dei giudici di merito, giacche'
investe quella che  la  dottrina  definisce  «terza  interpretazione»
immune da precedente autorevole vaglio superiore. 
3.1 - Mancata attenzione verso l'aspetto relazionale. 
    Solo marginalmente la Corte costituzionale  (nella  decisione  n.
161/1985) ebbe ad occuparsi della  rilevanza  «sociale»  dell'effetto
del cambiamento del  sesso  (allora  dato  per  scontato  susseguente
all'operazione chirurgica), argomentando in tal modo: «Non  si  vede,
infatti, quale possa essere il diritto fondamentale della persona che
viene offeso quando un soggetto entra in rapporto con il transessuale
che abbia vista riconosciuta la propria identita' e conquistato - per
quanto possibile - uno stato di benessere in cui consiste la  salute,
bene,  quest'ultimo  che  la  Costituzione,  come  si  e'  ricordato,
considera "interesse della collettivita'"». 
    Affermava in quella sede la Corte, che, se la  censura  fosse  da
ritenersi proposta in riferimento al solo art. 2  della Costituzione,
e la si volesse, in questi termini, ritenere  ammissibile,  certo  e'
che tale disposto non e' violato  quando  e  per  il  fatto  che  sia
assicurato a  ciascuno  il  diritto  di  realizzare,  nella  vita  di
relazione, la propria  identita'  sessuale,  da  ritenere  aspetto  e
fattore di svolgimento della personalita'. Correlativamente gli altri
membri della collettivita' sono tenuti a riconoscerlo, per dovere  di
solidarieta' sociale. 
    Tuttavia e' evidente come  in  quella  sede  la  rilevanza  della
questione operava al contrario: in  quanto  la  Corte  riteneva  dopo
l'operazione concluso il processo  di  trasmigrazione  verso  l'altro
sesso e, quindi, prevalente la solidarieta' sociale come accettazione
di un mutamento di genere del tutto assimilato a quello agognato. 
    In altri termini ed in quella prospettiva l'uomo diventa donna  o
viceversa attraverso l'operazione e  la  societa'  non  puo'  subirne
pregiudizio. 
    Va dato conto che gia' in quella occasione la medesima Corte ebbe
a rilevare, in  linea  con  attenta  dottrina,  essere  qualificabile
l'identita'  sessuale  «come  dato   complesso   della   personalita'
determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato
o  ricercato  l'equilibrio,  privilegiando  [...]  il  o  i   fattori
dominanti», senza, tuttavia, spingersi oltre  nella  distinzione  tra
caratteri primari e secondari. 
    Nel caso oggi in esame il rapporto e' diametralmente  opposto  in
quanto si dovrebbe accettare  che  il  soggetto  cambia  nominalmente
genere perche' alcuni dati sono in lui «prevalenti»,  pur  mantenendo
alcuni tratti (piu' che altro genitali primari) del sesso  registrato
alla nascita. Il che e' concettualmente diverso  ed  esclude  che  la
decisione precedente abbia effetti preclusivi  ad  un  riesame  della
costituzionalita'. 
    Oggi e' in rilievo la possibilita' che alla  distonia  tra  sesso
biologico ed identita' sessuale venga  posto  rimedio  attraverso  il
diritto e non mediante la chirurgia estetica. 
    Secondo la sentenza della Cassazione 15138/2015 il mutamento  del
sesso e'  una  questione  attinente  ai  diritti  fondamentali  della
persona: se nessuno puo' essere sottoposto a un intervento chirurgico
senza il proprio consenso, allora nessuno  puo'  essere  costretto  a
subire un intervento ove esso si riveli  non  necessario,  inutile  o
dannoso,  previo  accertamento  medico  svolto  tramite  perizia  sul
diretto interessato. 
    Nella vicenda esame nell'anno 2015 la Corte ritenne assentire  al
mutamento di genere in assenza di intervento laddove una  persona  di
45 anni aveva gia' ottenuto nel 1999 una sentenza  che  l'autorizzava
all'intervento chirurgico, ma, ciononostante  aveva  rinunciato  alla
demolizione/ricostruzione chirurgica dei  propri  caratteri  primari,
avendo raggiunto nel tempo un  equilibrio  psico-fisico  da  25  anni
vivendo  ed  essendo  socialmente  riconosciuta  come  donna,  avendo
peraltro   effettuato   tutta   una   serie   di   interventi   sulle
caratteristiche sessuali secondarie in grado di mutare  sensibilmente
anche l'aspetto esteriore. 
    Alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata e
conforme  alla  giurisprudenza  della  Corte  europea   dei   diritti
dell'uomo, dell'art. 1 della legge  n.  164  del  1982,  nonche'  del
successivo  art.  3  della  medesima  legge,  attualmente   confluito
nell'art. 31, comma 4, del decreto legislativo n. 150  del  2011,  la
Corte di cassazione statui': «L'interesse pubblico  alla  definizione
certa dei generi, anche considerando le implicazioni che  ne  possono
conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede
il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrita'
psico fisica sotto lo specifico profilo dell'obbligo  dell'intervento
chirurgico inteso come segmento non eludibile dell'avvicinamento  del
some alla psiche. L'acquisizione di una  nuova  identita'  di  genere
puo' essere il frutto di un processo individuale che non  ne  postula
la necessita', purche' la serieta' ed univocita' del percorso  scelto
e la compiutezza dell'approdo finale sia accertata,  ove  necessario,
mediante rigoroso accertamenti tecnici in sede giudiziale». 
    La  conclusione  della  Corte,  avallata  da   ampi   riferimenti
normativi europei e decisioni autorevoli di altri Stati, valorizza il
dato  intersoggettivo  e  l'asseconda  ad  un  compiuto  processo  di
maturazione da accertare con molto rigore da parte del giudice, senza
peraltro occuparsi dei riflessi esteriori nella collettivita'. 
    Non manca la suddetta decisione della S.C. di porsi  il  problema
della interrelazione tra gli esseri, nel consapevole convincimento di
evitare possa ingenerarsi la falsa enucleazione di un  tertium  genus
distinto dal duopolio uomo / doma (v. in particolare le  pagg.  29  e
ss.), anche se finisce per dar prevalenza  al  dato  individualistico
una volta che si accerti  la  prevalenza  anche  dei  soli  caratteri
sessuali secondari dell'individuo, omettendo di addentrarsi  (perche'
non in rilievo nel caso in esame) sul nucleo centrale  del  problema,
costituito non gia' dal modo con cui il soggetto  percepisce  la  sua
sessualita', ma da come la societa' la percepirebbe nello svolgimento
della vita quotidiana, quando, cioe', per necessita' o  contatto,  il
soggetto che si percepisce d'altro genere svolge le proprie attivita'
a contatto con gli altri. 
    In altri termini, la pur articolata decisione della Corte,  fonda
il proprio convincimento sulla necessita' che il giudice accerti  con
rigore l'avvenuta modificazione delle  caratteristiche  sessuali  del
soggetto, pur senza intervento agli organi primari, in un contesto di
profonde modificazioni degli organi sessuali secondari. 
    In definitiva  la  Corte  non  si  occupa  direttamente  ne'  del
rapporto con la collettivita' e  neppure  approfonditamente  su  cosa
debba intendersi per organi sessuali primari e secondari perche'  nel
caso da esaminare dette questioni non venivano in rilievo. 
    Caso analogo e' stato trattato davanti alla Corte  costituzionale
(sent. 221/2015) laddove fu condivisa la difesa della norma da  parte
dell'Avvocatura  dello  Stato  nella  parte  in  cui  rammentava  «Il
trattamento medico-chirurgico sarebbe, infatti, necessario  solo  nel
caso in cui occorra assicurare al soggetto transessuale  uno  stabile
equilibrio psicofisico, ossia laddove la  discrepanza  tra  il  sesso
anatomico  e   la   psicosessualita'   determini   un   atteggiamento
conflittuale  di  rifiuto  dei  propri  organi  sessuali.  Viceversa,
laddove non sussista tale  conflittualita',  l'intervento  chirurgico
non sarebbe necessario». 
    Secondo la Corte costituzionale, in questa prospettiva  va  letto
anche il riferimento, contenuto nell'art. 31 del decreto  legislativo
n. 150 del 2011, alla eventualita' («Quando risulta necessario»)  del
trattamento  medico-chirurgico  per   l'adeguamento   dei   caratteri
sessuali. In tale disposizione, infatti  -  secondo  la  Corte  -  lo
stesso  legislatore  ribadisce,  a  distanza  di  quasi  trenta  anni
dall'introduzione della legge n. 164 del  1982,  di  volere  lasciare
all'apprezzamento  del  giudice,  nell'ambito  del  procedimento   di
autorizzazione  all'intervento  chirurgico,  l'effettiva   necessita'
dello stesso, in relazione alle specificita' del caso concreto. 
    Il ricorso alla modificazione chirurgica dei  caratteri  sessuali
risulta, quindi, autorizzabile in funzione di  garanzia  del  diritto
alla salute, ossia laddove lo stesso  sia  volto  a  consentire  alla
persona  di  raggiungere  uno  stabile  equilibrio  psicofisico,   in
particolare in quei  casi  nei  quali  la  divergenza  tra  il  sesso
anatomico  e  la  psicosessualita'  sia  tale   da   determinare   un
atteggiamento conflittuale e  di  rifiuto  della  propria  morfologia
anatomica. 
    La prevalenza della  tutela  della  salute  dell'individuo  sulla
corrispondenza fra  sesso  anatomico  e  sesso  anagrafico,  porta  a
ritenere  il  trattamento  chirurgico  non  quale  prerequisito   per
accedere al procedimento di rettificazione  -  come  prospettato  dal
rimettente, ma come possibile mezzo, funzionale al  conseguimento  di
un pieno benessere psicofisico». 
    Sempre  secondo  la  Corte   «Il   percorso   ermeneutico   sopra
evidenziato riconosce, quindi, alla disposizione in esame il ruolo di
garanzia del diritto all'identita' di genere,  come  espressione  del
diritto all'identita' personale (art. 2 della Costituzione e  art.  8
della  CEDU)  e,  al  tempo  stesso,  di  strumento  per   la   piena
realizzazione   del   diritto,   dotato   anch'esso   di    copertura
costituzionale, alla salute». 
    Anche in quella sede, dunque,  non  si  ebbe  a  discutere  della
entita' delle modificazioni ne' della rilevanza nella collettivita'. 
    A  seguito  dei  suddetti  autorevoli   interventi,   pero',   la
giurisprudenza  di  merito   sembra   aver   interpretato   in   modo
largheggiante gli interventi suddetti. 
    Il Tribunale di Savona, con la sentenza del 30 marzo 2016 n. 357,
ha accolto la richiesta di un uomo separato dalla moglie e  padre  di
tre figlie che si era sottoposto unicamente ad una «terapia  ormonale
femminilizzante», sostenendo  «non  si  ricava  immediatamente  quali
debbano essere i caratteri sessuali da modificare, potendosi ritenere
sufficiente anche una modifica dei caratteri sessuali secondari,  per
la quale e' normalmente sufficiente effettuare delle cure ormonali, e
non anche una modifica dei  caratteri  sessuali  primari  (ossia  gli
organi genitali), che richiede,  invece,  una  operazione  chirurgica
particolarmente invasiva». 
    Con il supporto di una perizia tecnica da cui comunque emerge  la
necessita' dell'intervento chirurgico per il benessere della persona,
il giudice ha ritenuto di  autorizzare  contestualmente  la  modifica
anagrafica. Infatti, dalla perizia stessa risultava  come  un  sicuro
benessere potesse derivare dalla modifica dei documenti alla luce dei
tempi, non definiti  ma  sicuramente  non  immediati,  che  avrebbero
portato a procrastinare la modifica del sesso anagrafico e del  nome.
Invero, vi si leggeva come  «la  discrepanza  tra  l'attuale  aspetto
esteriore ... e i documenti anagrafici  comporta  sia  uno  stato  di
sofferenza interiore sia un reale  impedimento  a  potersi  vivere  e
progettare nella realta' con la dovuta serenita'». Per tali  ragioni,
il giudice ritiene l'adeguamento dei documenti anagrafici prioritario
per  il  benessere  psicofisico  della  persona,  non  possa   essere
subordinato alla  riattribuzione  chirurgica  del  sesso  e,  dunque,
temporalmente procrastinato. 
    La giurisprudenza di merito appena richiamata  compie  un  deciso
balzo in avanti rispetto alle due decisioni della Cassazione e  della
Corte costituzionale del 2015, valorizzando il solo dato  psicologico
soggettivo, concentrandosi ancor  piu'  sul  beneficio  psichico  del
richiedente. 
    Com'era    prevedibile     in     conseguenza     dell'incertezza
dell'interpretazione enucleata, la giurisprudenza  di  merito  si  e'
trovata imbrigliata in una questione di non poco conto,  da  un  lato
non  potendo  costringere  il  richiedente  ad  un   qualsiasi   tipo
d'intervento chirurgico per non violare il dictum del  giudice  delle
leggi, dall'altra messa nella pericolosa prospettiva  di  finire  per
far  rientrare  dalla  finestra  cio'   che   la   Cassazione   aveva
testualmente  escluso,  e  cioe'  che  si   potesse   dare   ingresso
all'identita'  del  tertium   genus,   di   fatto   cosi   conclamata
valorizzando il solo dato psicologico dell'istante. 
    Di fatto, dunque, gli autorevoli precedenti citati, rischiano  di
amplificare quelle difficolta' da sempre registrate in giurisprudenza
per via della mancanza di precisi interventi normativi  in  grado  di
prendere definitivamente un orientamento su temi tanto rilevanti. 
    Tutte le decisioni richiamate, tuttavia, non pongono  in  rilievo
l'interesse della societa' ad avere una risposta chiara  rispetto  al
genere delle persone. 
3.2  -  Limiti  oggettivi  delle   conclusioni   dell'interpretazione
evolutiva. 
    Proprio perche' le interpretazioni date dalla Corte di cassazione
e dalla Corte  costituzionale  lasciano  margini  di  dubbio,  appare
preliminarmente opportuno  addentrarsi  sul  contenuto  dell'indagine
richiesto. 
    Una parte  del  ragionamento  fondante  l'assunto  che  non  puo'
imporsi il trattamento chirurgico a chi non voglia appare in  qualche
modo viziato da una petizione di principio giacche' e' vero piuttosto
il contrario: che chi vuole ottenere  il  riconoscimento  del  genere
deve, se e' necessario, provare l'appartenenza al genere  diverso  da
quello anagrafico. 
    Per farlo ha numerose opzioni, che  possono  dipendere  da  varie
circostanze, certamente non codificabili a  priori.  Puo'  darsi,  ad
esempio, che una donna abbia dalla  nascita  gli  attributi  sessuali
primari tipicamente maschili e sviluppi,  con  cure  o  anche  senza,
caratteristiche tipiche dell'uomo (es. peluria, barba, timbro  voce),
senza che sia necessario alcun intervento di conformazione  genetica.
Puo' darsi, altrimenti, che un uomo abbia vissuto all'estero ed abbia
gia' effettuato ivi un intervento chirurgico nei caratteri  secondari
o primari per diventare donna. 
    In questi casi, evidentemente, d'intervento chirurgico  non  v'e'
necessita'   alcuna,   sicche'   correttamente   la   legge   prevede
l'operazione  come  mera  eventualita',  sicche'  anche  la  modifica
processuale del 2011, citata dalla Corte costituzionale,  in  assenza
di una  specifica  indicazione  nei  lavori  preparatori  non  appare
dirimente. 
    D'altra  parte,  se  un  soggetto  percepisce   come   pienamente
esplicativo  del  proprio  percorso   l'intervento   chirurgico,   e'
certamente corrispondente al diritto prevedere  l'  autorizzazione  a
farlo. 
    In altri termini, se un soggetto e'  stato  caratterizzato  dalla
natura in modo non conforme  a  quella  che  pare  la  sua  identita'
prevalente sembra giusto  che  la  legge  preveda  un  intervento  di
riallineamento per  poter  riaffermare  il  genere  in  termini  piu'
corretti. Tuttavia solo in prospettiva degli unici due generi (uomo /
donna)  riconosciuti  dall'ordinamento  e  riaffermati  da  tutte  le
decisioni sopra indicate, senza  che  sia  possibile  dare  identita'
(allo stato della legislazione vigente) ad ulteriori generi. 
    Lo afferma chiaramente la medesima S. C. quando  sostiene  che  «
... il  diritto  al  mutamento  di  sesso  puo'  essere  riconosciuto
soltanto se non determini ambiguita' nella individuazione  soggettiva
dei generi, e nella certezza delle relazioni giuridiche, non  potendo
l'ordinamento  riconoscere  un   tertium   genus   costituito   dalla
combinazione di caratteri sessuali primari e secondari di entrambi  i
generi.  Al  fine  di  tutelare  l'interesse  pubblico  alla   esatta
differenziazione tra i  generi  in  modo  da  non  creare  situazioni
relazionali (unioni coniugali o rapporti di filiazione) non  previste
attualmente dal nostro sistema di  diritto  familiare  e  filiale  e'
necessario per il mutamento di sesso un irreversibile cambiamento dei
caratteri sessuali anatomici che escluda qualsiasi ambiguita'». 
    Escluso, dunque, che la S.C. abbia aperto al pieno riconoscimento
della transessualita' ad  ottenere  piena  ed  autonoma  collocazione
ordinamentale  (come   pur   erroneamente   sostenuto   di   alcuni),
indubbiamente risulta fallace il ragionamento quando si  finisce  per
imporre comunque una dimostrazione di  rigorosa  delle  modificazioni
(quando occorrenti) dei caratteri secondari. 
    In  parecchi  passaggi  la  S.C.  sostiene  «anche  i   secondari
richiedono interventi modificativi  anche  incisivi  come  e'  emerso
anche dalle consulenze tecniche d'ufficio disposte  nel  giudizio  di
merito  (trattamenti  ormonali  di  lungo  periodo,   interventi   di
chirurgia estetica modificativi di tratti  somatici  appartenenti  al
genere originario, interventi additivi o ricostruttivi  quali  quelli
relativi al  seno,  in  caso  di  mutamento  dal  genere  maschile  o
femminile)»;  oppure  «La  complessita'  del  percorso,   in   quanto
sostenuto da una  pluralita'  di  presidi  medici  (terapie  ormonali
trattamenti estetici)  e  psicologici  mette  ulteriormente  in  luce
l'appartenenza del diritto in questione al nucleo  costitutivo  dello
sviluppo  della  personalita'  individuale  e  sociale,  in  modo  da
consentire un adeguato bilanciamento con  l'interesse  pubblico  alla
certezza  delle  relazioni  giuridiche  che  costituisce  il   limite
coerentemente indicato dal nostro ordinamento al suo riconoscimento»;
ovvero «...il riconoscimento giudiziale del diritto al  mutamento  di
sesso non puo' che essere preceduto da un accertamento  rigoroso  del
completamento di tale percorso individuale da compiere attraverso  la
documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici eseguiti dal
richiedente, se necessario integrati da indagini  tecniche  officiose
volte ad attestare l'irreversibilita' personale della scelta». 
    Ma  il  rigoroso  accertamento  degli  interventi  sui  caratteri
sessuali secondari, anch'essi per lo piu' presidiati dall'esigenza di
interventi medici, spesso di non lieve entita', finisce  per  tradire
la  premessa  della  impossibilita'  di  poter  esigere   trattamenti
chirurgici. 
    Non si comprende, da questo punto di vista, come il giudice possa
con rigore e attenzione, anche dal punto  di  vista  medico,  esigere
mutamenti sostanziosi dei caratteri sessuali senza violare l'art.  32
della Costituzione, mentre lo farebbe solo se  richiedesse  mutamenti
dei caratteri primari. 
    Il ragionamento appare di fatto contraddittorio. 
    Da questo punto di vista  e'  piu'  coerente  l'orientamento  del
Tribunale di Savona che,  valorizzando  solamente  l'aspettativa  del
soggetto, prescinde totalmente da interventi,  ritenendo  sufficiente
anche una sola cura ormonale (come, d'altra parte,  accade  in  altri
ordinamenti anche a noi vicini). 
    Tuttavia, messi su questa scivolosa strada, a questo punto, anche
la  cura  ormonale  dovrebbe  essere  soggettivamente  ritenuta   una
costrizione della  propria  identita'  personale  ovvero  lesiva  del
diritto alla salute intesa in senso ampio, sicche',  conclusivamente,
qualsiasi  petizione  dovrebbe  essere  assentita  dal  giudice,  sol
giustificata dall'esigenza di adeguare la propria identita' fisica  a
quella psichica. 
    Evidentemente questo modo di ragionare porterebbe  a  prescindere
da ogni intervento ed anche il rigore di cui s'afferma  il  contenuto
precettivo dell'indagine del giudice dovrebbe essere  eluso.  Il  che
non e' dato intravedere  in  una  legge  che  tutt'oggi  richiede  un
mutamento, quando esso e'  necessario,  per  uniformare  i  caratteri
sessuali al genere preteso; ben potendosi leggere quel testo,  ancora
oggi, nell'inciso «quando necessario»,  come  esigenza  correlata  al
caso concreto,  essendo  certamente  noto  in  biologia  come  alcuni
soggetti nascano gia'  con  i  caratteri  sessuali  dell'altro  sesso
ovvero, in altro caso, ricorrano ad interventi  all'estero,  sicche',
in questi casi, non v'e' necessita' alcuna d'intervento chirurgico. 
    L'intervento chirurgico di cui alla norma  non  e'  correlato  al
maggior o minore apporto del soggetto  richiedente  quanto  piuttosto
alla necessita' fisica di dover adeguare i caratteri  sessuali,  che,
evidentemente, non c'e' quando il soggetto, per nascita o  precedente
intervento, appartiene  gia'  al  diverso  genere  e  vuole  ottenere
dall'autorita' autorizzazione a farlo, semmai, se  occorrenti,  previ
ulteriori interventi sui caratteri  secondari  (e'  altrettanto  noto
come esistano soggetti  con  caratteri  sessuali  primari  dell'altro
sesso  ma  caratteri  secondari  assolutamente  coerenti  col  genere
anagrafico d'apparenza). 
    In sintesi,  non  sembra  che  dell'intervento  chirurgico  possa
prescindersi tout court, dovendosi piuttosto opinare,  secondo  legge
vigente, in termini di «mutamento» dei caratteri  sessuali  in  senso
oggettivo, un genere dovendosi tramutare in altro, o per allineamento
dei caratteri all'altro sesso (che potrebbe essere addirittura  dalla
nascita ed esigere solo  lievi  modificazioni  di  dettaglio)  o  per
profonde modificazioni degli organi sessuali  primari  e/o  secondari
che siano, in modo tale  da  non  ingenerare  confusione  di  generi,
giacche',  come  evidenziano  le  stesse  decisioni  citate,  tertium
(genus) non datur. 
    Il riferimento, contenuto nell'art. 31 del decreto legislativo n.
150 del 2011, alla eventualita'  («Quando  risulta  necessario»)  del
trattamento  medico-chirurgico  per   l'adeguamento   dei   caratteri
sessuali, che  la  Corte  costituzionale  assume  come  ulteriormente
sintomatico di come lo stesso  legislatore  abbia  sentito  di  dover
ribadire, a distanza di quasi  trenta  anni  dall'introduzione  della
legge n. 164 del  1982,  di  volere  lasciare  all'apprezzamento  del
giudice,   nell'ambito    del    procedimento    di    autorizzazione
all'intervento chirurgico, l'effettiva necessita'  dello  stesso,  in
relazione alle specificita' del caso concreto,  in  realta'  potrebbe
essere letto nell'esatta portata opposta, giacche' la necessita', ora
come allora, era  correlata  al  mutamento  dei  caratteri  sessuali,
talvolta non necessario proprio perche' il soggetto gia' in  tutto  e
per tutto dell'altro genere. 
    Risolutiva appare l'obiezione che la  legge  non  avrebbe  potuto
prevedere  sempre  e  comunque  un  intervento   anche   quando   non
necessario! 
    In  conclusione,  si  legittima  l'interpretazione  della   legge
vigente in termini di necessita'  dell'intervento  quante  volte  sia
necessario allineare il genere al genere contrario mentre, di contro,
non e' indispensabile quelle volte in cui la gran parte dei caratteri
sessuali  primari  e/o  secondari  siano   gia'   (irreversibilmente)
dell'altro sesso. 
    Va, per conversa,  esclusa  l'autorizzazione  al  cambiamento  di
sesso quando  questo  sia  fondato  esclusivamente  su  un  desiderio
irrefrenabile del soggetto agente, senza che questi appaia  conforme,
anche esteticamente ed esteriormente, al sesso richiesto, tant'e' che
la S.C. valorizza, ritenendoli sufficienti, trattamenti  ormonali  di
lungo periodo,  interventi  di  chirurgia  estetica  modificativi  di
tratti  somatici  appartenenti  al  genere   originario,   interventi
additivi o ricostruttivi quali. quelli relativi al seno. 
    Cio' premesso, dunque, la portata delle  interpretazioni  fornite
dalla S.C. e dalla Corte costituzionale e' meno ampia  di  quella  da
alcuni  salutata  come  pieno   riconoscimento   del   fenomeno   del
transatransessualismo, sia pure con le contraddizioni sopra  esposte,
fondandosi la conclusione sulla non  obbligatorieta'  dell'intervento
chirurgico agli organi sessuali primari  quante  volte  le  mutazioni
degli organi (primari e/o) secondari siano talmente evidenti  da  non
esigere altro ai fini dell'esatta indicazione del genere (uomo/donna)
riconosciuto dall'ordinamento. 
    A questa prima conclusione  deve  aggiungersi  come  la  dottrina
abbia sottolineato che l'opinamento della  Corte  di  cassazione  del
2015 esponga a problemi  piuttosto  gravi  sul  piano  interpretativo
laddove «...l'affermazione dei  giudici  di  legittimita'  secondo  i
quali "Il profilo diacronico e  dinamico"  della  percezione  di  una
"disforia di genere"» «costituisce una caratteristica ineludibile» di
tale "percezione" e «la conclusione del processo di  ricongiungimento
tra "soma e psiche" non puo', attualmente, essere  stabilito  in  via
predeterminata e generale  soltanto  mediante  il  verificarsi  della
condizione dell'intervento chirurgico"». 
    Censurando  detta  ricostruzione  si  e'  posto  in  rilievo  «la
evanescenza e la estrema vaghezza e  volatilita'  dei  termini  usati
dalla Cassazione per giustificare  il  cambiamento  di  sesso,  quali
"percezione", elemento del tutto soggettivo,  "disforia  di  genere",
che si rifa' alla teoria del "gender", secondo la  quale  non  esiste
una diversita' sessuale biologica ma soltanto soggettiva e culturale,
"diacronico e  dinamico",  che  indicano  un  variazione  continua  e
indefinita», evidenziandosi come, quando la  Cassazione  afferma  che
«il processo di ricongiungimento tra "soma e psiche" non  puo'  (...)
essere stabilito invia predeterminata e  generale",  apre  la  strada
alla possibilita'  di  una  continua  e  nuova  valutazione  di  tale
processo, con la conseguente legittimazione di  molteplici  richieste
di  cambiamento  di  sesso   in   base   agli   svariati   stati   di
"autopercezione"  del  soggetto  che  soffra  di  una  "disforia   di
genere"», con quali conseguenze e' facile immaginare  ai  fini  della
"stabilita'" della decisione che il giudice deve assumere». 
    Non a caso altra censura e' stata mossa sul  piano  del  percorso
motivazionale adottato, opinandosi come,  ricorrendo  al  controverso
concetto  di  «identita'  di  genere»   -   che   e'   cosa   diversa
dall'identita'  sessuale  -  si  sia  ingenerato  qualche   equivoco.
L'identita'   sessuale    indica    la    coscienza    dell'identita'
psico-biologica del proprio sesso,  che  si  fonda  sull'acquisita  o
tendenziale armonia tra soma e psiche e sulla polarita' dei due sessi
o generi, maschile e femminile,  ed  e'  alla  base  della  legge  n.
164/1982. 
    Il concetto di «identita' di genere», costruito sulla base  della
distinzione   tra   sex   (sesso   morfologico)   e   gender   (sesso
psico-sociale) nella  lingua  inglese,  indica  invece  la  coscienza
dell'identita' psico-sociale e culturale del «ruolo» che  le  persone
di  un  determinato  sesso  o  «genere»  svolgono   nella   societa',
costituisce solo una componente dell'identita' sessuale e non  assume
rilevanza  autonoma  nel  nostro  ordinamento,  salvo  come  elemento
dell'identita' personale che, al pari di altri, non  puo'  costituire
motivo di persecuzione o di atti discriminatori. 
    Non a caso il Comitato nazionale per la bioetica, in  un  recente
parere approvato all'unanimita' sui disturbi  della  differenziazione
sessuale   nei   minori   (2010),   distingue    correttamente    tra
«strutturazione dell'identita' sessuale» e assunzione del  «ruolo  di
genere». 
    Secondo La Cassazione,  la  possibilita',  anzi  il  diritto,  di
ottenere il cambiamento di sesso anagrafico anche senza ricorrere  ad
un intervento chirurgico, ma solo attraverso trattamenti estetici  ed
ormonali sarebbe espressione del «diritto  di  autodeterminazione  in
ordine all'identita' di genere», da ricondursi al catalogo aperto dei
«diritti  inviolabili  della  persona»,  e  tale  da  poter   «quasi»
giustificare il riconoscimento di «un tertium genus costituito  dalla
combinazione di caratteri sessuali primari e  secondari  di  entrambi
generi» come esito di «un  percorso  di  riconoscimento  del  proprio
genere».  Ma  una  simile  ricostruzione,  che   sembra   prefigurare
l'identita' sessuale come  oggetto  di  una  mera  scelta  soggettiva
dell'interessato, di cui la consulenza medica dovrebbe  limitarsi  ad
accertare  la  serieta'  ed  univocita',  non  trova,  pero',   alcun
fondamento  nella  legge,  che   fa   discendere   la   sentenza   di
rettificazione di attribuzione di sesso, oltre che dalla volonta' del
soggetto   ricorrente,   dal   dato   oggettivo   delle   intervenute
modificazioni dei suoi  caratteri  sessuali,  sulla  base  -  qualora
ritenuto necessario - di una consulenza  medica  che  ne  accerti  le
«condizioni psico-sessuali». 
    Di fatto, comunque, a seguire letteralmente  la  decisione  della
S.C., si finisce per far rientrare dalla  finestra,  imponendolo  (il
percorso medico - sanitario sui caratteri  secondari),  cio'  che  e'
uscito dalla porta (l'obbligo dell'intervento),  ambedue  i  concetti
avendo rilevanza ex art. 32 della Costituzione. 
    Si e' osservato come la Corte non avrebbe dovuto  procedere  alla
ridefinizione di un concetto - quello di identita' sessuale - tuttora
ancorato, negli ordinamenti giuridici contemporanei e in  particolare
in quello italiano, all'evidenza (anche se  non  piu'  esclusiva)  di
dati oggettivi, fisici e morfologici,  che  attestino  l'«adeguamento
dei caratteri sessuali» (art. 31,  comma  4  decreto  legislativo  n.
150/2011) alla psiche del soggetto. E  cio'  in  quanto,  sulla  base
dell'evidente intentio del legislatore, «la modificazione artificiale
del sesso in tanto puo' avvenire, in quanto  sia  rispondente  ad  un
interesse oggettivamente e soggettivamente inteso della  persona,  ai
fini dello sviluppo della sua personalita' (art. 2, 3, comma 2  della
Costituzione) e nel sostanziale rispetto della sua dignita' (art. 32,
comma 2 della Costituzione)». Il richiamo costante nella  motivazione
della sentenza al controverso  concetto  di  «identita'  di  genere»,
inteso  come  espressione  del  diritto  all'autodeterminazione   del
soggetto, tende erroneamente a fare di un problema specifico,  quello
del transessualismo, un paradigma generale per la  ridefinizione  del
concetto di  identita'  sessuale,  come  pure  e'  stato  lucidamente
teorizzato in dottrina. 
    Si e' anche detto essere «il concetto di identita' sessuale, come
acquisito o apparente stato  di  armonia  tra  soma  e  psiche  nella
percezione  dell'appartenenza  sessuale  del  soggetto,  non   quello
ambiguo di identita' di genere ad essere stato  recepito  dal  nostro
legislatore come fondamento degli status personali e  primo  elemento
di identificazione del soggetto presso l'ufficio dello  stato  civile
del comune di nascita o di residenza. 
    Evocare  da  parte  della  Suprema  Corte  altri   concetti,   di
controversa  definizione  e  di  incerta  collocazione   nel   nostro
ordinamento, oltre a tradire il ruolo proprio dei giudici,  «soggetti
soltanto alla legge» (art.  101  della  Costituzione),  ma  a  questa
senz'altro,  costituisce  una  forzatura  che  rischia  di  aggravare
l'incertezza  nell'interpretazione  del  sistema   normativo   e   di
aumentare la confusione nell'opinione pubblica,  che  su  temi  cosi'
delicati  avrebbe  piuttosto  bisogno  di  chiarezza  e  non  di  una
giurisprudenza per concetti astratti e indeterminati». 
    Sul piano dell'applicazione pratica, dunque,  le  aperture  delle
Supreme Giurisdizioni, sia pur entro  i  piu'  angusti  limiti  sopra
indicati, offrono il destro a  ben  piu'  di  qualche  difficolta'  e
distonia d'interpretazione e/o applicazione. 
3.3 - La rilevanza sociale. 
    Ma dove l'esame e' ancora lacunoso  e'  sul  piano  dei  rapporti
sociali  interrelazionali,  come  anticipato  non  oggetto   in   via
principale  di  interpretazione  costituzionalmente  orientata  della
Corte di cassazione a Sezioni unite o della Corte costituzionale. 
    Il fugace  cenno  alla  solidarieta'  sociale  rinvenibile  nella
sentenza  della  Corte  costituzionale  del  1985  (come  detto   non
vincolante per il giudice  di  merito  in  quanto  contenuto  in  una
sentenza di  rigetto  e  in  un  passaggio  secondario  del  percorso
motivazionale) in realta' passa per una serie di implicazioni di  non
irrilevanti conseguenze sociali (allora non adombrate  nell'ordinanza
di rimessione) e interrelazionali. 
    Anche chi ha commentato con  favore  le  decisioni  piu'  recenti
della S.C. e della Corte costituzionale si e' posto il problema della
rilevanza dell'art. 2 della Costituzione posto a sostegno dei  decisa
rispetto alla societa' ed ha opinato che nel momento in cui  sancisce
il principio personalista, non  lo  declina  nella  sola  prospettiva
individualista,  ma  anche  nelle  relazioni   sociali   e,   quindi,
giuridiche che  caratterizzano  ogni  persona  umana,  auspicando  un
rapido intervento del legislatore per la ricerca di un nuovo punto di
equilibrio che garantisca, nelle forme e modalita' appropriate, anche
la certezza  del  diritto.  Insomma,  la  dottrina  piu'  attenta  ha
percepito immediatamente la pericolosita' di  interpretazioni  troppo
evolutive. 
    E' proprio sotto questo profilo che, nella ricerca di una lettura
delle norme conforme alla nuova  collocazione  datane  dalle  supreme
magistrature, occorre invocare autorevoli pronunciamenti in tenia  di
bilanciamento tra contrapposti interessi di rilievo costituzionale. 
    Le decisioni  sopra  indicate  in  qualche  misura  accennano  al
problema. 
    La Corte costituzionale, nella  sentenza  n.  221/2015,  richiama
esplicitamente «un adeguato bilanciamento  con  l'interesse  pubblico
alla certezza delle relazioni giuridiche» (punto  4.1,  Cons.  dir.),
dimostrandone cosi' la persistenza anche in questo contesto. 
    La   Cassazione    appare    sensibile    sul    contrasto    tra
autodeterminazione e interesse pubblico ora citato, laddove  afferma:
«L'individuazione del corretto punto di equilibrio [...] oltre che su
un criterio di preminenza e di sovraordinazione, puo' essere ancorata
al  principio  di  proporzionalita'  [...]  [che]  si   fonda   sulla
comparazione tra il complesso dei diritti della persona e l'interesse
pubblico da preservare» (sent. n. 15138/15). 
    Tuttavia  ambo  le  decisioni  non  approfondiscono  il   profilo
speculare a quello personalistico, legittimando il dubbio posto dalla
dottrina che «... diviene  concreta  anche  la  possibilita'  che  la
persona  possa  ripensare  alla  nuova  scelta  sessuale   e   optare
eventualmente per una soluzione a ritroso  rispetto  al  percorso  di
transizione, gia' intrapreso, verso l'altro sesso, sicche'  anche  su
questo punto sarebbe necessario un nuovo intervento del legislatore. 
    Come  gia'  evidenziato,  infatti,  i  rilievi  critici  proposti
riguardano la necessita' di una revisione  della  legge  n.  164/1982
che, per un verso, possa essere piu' chiara nel senso indicato  dalla
Consulta in tema di trattamento chirurgico, e che, per contro,  provi
ad individuare nuovi punti di ponderazione  tra  l'autodeterminazione
della persona e la  certezza  del  diritto,  senza  alcuna  eccessiva
compressione ne' dell'una ne' dell'altra nel rispetto  del  principio
di proporzionalita' richiamato dalla Cassazione». 
    In  sintesi,  quel  che  la  Corte  di  cassazione  e  la   Corte
costituzionale  intendevano  valorizzare  per  dare  una  risposta  a
problemi indubbiamente rilevanti per una minoranza desiderosa  di  un
proprio riconoscimento, se troppo allargato  rischia  di  creare  una
serie di ricadute non indifferenti tanto dal punto di vista giuridico
interpretativo che sociale. 
3.4 - La rilevanza sociale specifica. 
    Ma se gia' sul piano delle ricadute in termini personalistici  le
conseguenze soffrono di troppo labili  confini  e'  sul  piano  della
rilevanza sociale che si pongono problemi  e  ricadute  irrisolvibili
allo stato. 
    Anzitutto e' del tutto  ovvio  come  all'aspetto  intersoggettivo
condivisibilmente da considerare (anche perche' spesso nasconde  veri
e propri drammi psicologici del  richiedente)  occorre  correlare  le
ripercussioni sul contesto sociale in cui il tutelato opera. 
    Se e' vero che anche il matrimonio del mutato di genere e'  salvo
(Corte costituzionale n. 170/2014)  e'  pur  vero  come  la  vita  di
relazione conservi parecchie occasioni di contatto  in  cui  anche  i
caratteri sessuali primari della persona rilevano; si considerino, ad
esempio, ma non esaustivamente, i seguenti casi: * Frequentazioni  di
palestre e relativi spogliatoi * Bagni pubblici * Ispezioni personali
di polizia * Scuole  con  classi  settoriali  *  Reparti  ospedalieri
settoriali * Reparti lavorativi settoriali *  Carceri  *  Concorsi  *
costumi da tenere in spiaggia. 
    In tutti  questi  casi  e'  certamente  rilevante  stabilire  con
sicurezza il «genere» della persona perche' nessuno, men che meno  se
minore  d'eta',  possa  in   qualche   misura   essere   disorientato
sull'identita' del genere del «mutato  di  sesso»,  fondando,  ancora
oggi, la legge italiana (cosi' come  ribadito  dalla  sentenza  della
S.C. del 2015), a torto o  a  ragione  che  sia,  la  differenza  sul
duopolio uomo/donna. 
    Laddove dovesse optarsi per la prevalenza del dato  cartolare  su
quello fisico -  a  questo  punto  visivamente  «ibrido»  -  dovrebbe
paradossalmente sostenersi che la societa' non e'  piu'  fondata  sul
detto duopolio, ma su un numero indeterminati di generi,  solo  dalla
giurisprudenza   ricondotti,   secondo   un   criterio   assai   vago
d'interpretazione  caso  per  caso,  all'una  come  all'altra   macro
categoria di assai incerti confini. 
    Il che produce  incertezze  (6)  .  Con  la  conseguenza  che  la
societa' dovrebbe adeguarsi a sostenere questa  promiscuita'  fondata
sul dato cartolare ed a tutela di quella che la  Cassazione  ha  piu'
volte ritenuta una «minoranza» ed in danno della maggioranza ancorata
ad altri valori guida, non  fosse  altro  che  per  la  naturalistica
dominanza dei detti due generi prevalenti e  che  andrebbe  a  ledere
quel principio di uguaglianza che la Corte ha piu' volte  posto  come
uno dei valori fondanti del Paese. 
    Quante  volte  si  dovesse   intervenire   d'urgenza   in   stato
d'incoscienza sul mutato di sesso (es. ricovero  ospedaliero)  ovvero
in condizioni che non ammettono dilazione (es. ispezione di  polizia)
si creerebbero altrettante situazione d'incertezza proprio in ragione
della non netta  appartenenza  ad  un  genere  «codificato»,  con  la
conseguenza di ribaltare sugli operatori la «scelta» di far prevalere
il dato cartolare su quello  effettivo  o  viceversa,  con  tutte  le
illazioni del caso. 
    In  siffatte  ipotesi  esemplificative  il  paziente  incosciente
potrebbe essere collocato in un reparto femminile (facendo prevalente
il documento) o maschile  (facendo  prevalere  i  caratteri  genitali
primari)   a   seconda   dell'interpretazione   dell'operatore,   con
conseguenti problemi di carattere pratico per chi, ad  esempio,  deve
convivere (es. altri pazienti in corsia)  o  gestire  (es.  personale
infermieristico) il paziente. 
    Parimenti, in caso d'ispezione di polizia  si  dovrebbe  lasciare
agli interpreti la scelta se far operare un agente  uomo  o  donna  a
seconda della diversa prevalenza attribuita al  dato  cartolare  o  a
quello formale, peraltro con sensibili problemi di coordinamento  col
disposto dell'art.  79  disposizioni  di  attuazione  del  codice  di
procedura penale giacche' ispezioni  e  perquisizioni  devono  essere
eseguite, a termini degli articoli 245  e  249  codice  di  procedura
penale nel rispetto della dignita' e, se possibile, del pudore  della
persona. In sintesi, tanto da parte di chi deve agire che da parte di
deve  subirla,   potrebbero   proporsi   innumerevoli   problemi   di
bilanciamento di valori che, allo stato della  legislazione  attuale,
sarebbero irrisolvibili. 
    Di piu', in caso d'assenza di documento, si porrebbero  ulteriori
piu' gravi problemi ed imbarazzi, se non vere e proprie problematiche
sul diritto  del  lavoro  delle  persone  che  debbono  procedere  ad
ispezione personale (7) 
    Il tutto, ovviamente, con  sensibile  compromissione  dei  valori
costituzionalmente rilevanti di rispetto della dignita' e del modo di
sentire altrui, di buon andamento della pubblica amministrazione,  di
rispetto del tutela dei lavoratori nella  esecuzione  di  prestazioni
correlate al loro genere, etc. 
    Emblematicamente anche in spiaggia si proporrebbero  problemi  di
non poco rilievo,  posto  che  anche  qualora  il  mutato  di  genere
indossasse un costume tipicamente femminile  verrebbero  in  evidente
visibile rilievo i caratteri sessuali primari di nascita,  con  quali
difficolta' di adattamento nei confronti dei  minori  e'  d'intuitiva
evidenza. 
    In altri  ordinamenti  in  cui  il  diritto  viene  anche  creato
attraverso pronunzie giurisprudenziali e' accaduto che  il  Tribunale
dell'Ontario per i  diritti  umani  ha  stabilito  che,  in  caso  di
sedicente di sesso opposto non operato sottoposto alla  perquisizione
devono essere date tre alternative: perquisizione  eseguita  soltanto
da un agente maschio, soltanto da un agente femmina,  oppure  da  Ima
coppia di  agenti,  maschio  e  femmina.  Soluzione  questa  che  non
potrebbe essere percorsa nel nostrano sistema allo stato delle  leggi
attuali. Cio' per dimostrare quanto sia complesso  arrivare  per  via
pretoria a dare una bilanciamento dei valori in gioco. 
    Insomma,   non   sembra   che   attraverso    pur    apprezzabili
interpretazioni del dato normativo possa giungersi ad  una  soluzione
compiuta in una materia dove il problema e' conosciuto da  quando  e'
vecchio il mondo e mai, almeno in Italia, la legislazione  ha  saputo
dare una risposta concreta, tant'e' che gia' la Corte  costituzionale
del 1985 enunciava i numerosi progetti di legge giacenti. 
    E, d'altra parte, se si considera come la pur recente legge sulle
«coppie di fatto» non  si  e'  spinta  sino  al  punto  da  prevedere
espressamente una modifica delle norme sul cambiamento di sesso,  pur
in un contesto in cui la sessualita' e' ritenuta certamente  in  modo
piu' consapevole, personalistico e moderno, non sembra vi sia  spazio
in via pretoria per  un'interpretazione  concretamente  in  grado  di
ingenerare  piu'  problemi  (per  certi  versi  anche   allo   stesso
interessato - costretto di volta in volta a subire le perplessita' di
chi deve avere contatti con lui) di quanto voglia risolverne. 
    Le osservazioni che  precedono  assumono  maggiore  pregnanza  se
comparate con quello che succede in altri ordinamenti e  segnatamente
in America, laddove, tendenziali maggiori aperture  ad  una  societa'
piu' permissiva  hanno  di  recente  dovuto  indurre  a  fare  marcia
indietro in alcuni Stati dove ad una iniziale apertura  al  principio
di libera scelta erano conseguiti tali e  tanti  abusi  (segnatamente
nell'accesso ai bagni pubblici di sedicenti  «dell'altro  sesso»)  da
indurre a rimeditare la  liberta'  incontrollata  e  reintrodurre  il
principio del sesso di nascita. 
    Insomma, l'impossibilita' per  via  pretoria  di  poter  definire
diritti  e  doveri  di  chi  e'  tramutato  di  sesso   senza   avere
caratteristiche del tutto simili al genere corrispondente, rischia di
generare gravi problemi operativi e, comunque, di obbligare,  in  una
materia  in  cui  il  legislatore  non  e'  ancora  intervenuto,   la
collettivita' ad elaborare regole di comportamento  certamente  molto
lontane dalla tradizione secolare e di indubbia uniformita'. 
    Checche' se ne dica, dunque, non basta che i caratteri  secondari
siano in qualche misura mutati (senza che se ne stabiliscono  neppure
le percentuali di  cambiamento),  in  parecchie  occasioni  rilevando
anche   i   caratteri   primari   sessuali.   La   scelta   solamente
personalistica del proprio orientamento sessuale e' solo  una  parte,
certamente rilevante e degna di considerazione, del problema, ma essa
non  puo'  reputarsi  avulsa  dalla   rilevanza   che   essa   assume
nell'ordinamento   rispetto   a   regole   d'altrettante    rilevanza
costituzionale. 
    Si dovrebbe allora interpretare il contesto  normativo,  sia  pur
nell'ambito di una maggiore consapevolezza e modernita' onde favorire
anche  la  tutela   delle   minoranze,   secondo   un   criterio   di
ragionevolezza.  (almeno  sin  quando  il  legislatore  non   dovesse
decidere di dare pieno ed autonomo riconoscimento a tutti i generi). 
    Com'e' stato osservato in un  recente  studio  «il  principio  di
ragionevolezza  e'  utilizzato  come  complemento  e  in  appoggio  a
qualunque altro principio costituzionale richiamato a  parametro  del
giudizio della Corte». 
    Si nota nel medesimo lavoro appena citato  che  il  principio  di
ragionevolezza ha assunto un connotato conformativo rispetto ad  ogni
parametro costituzionale; di qui deriva la  pervasivita'  del  canone
quale principio costante e onnipresente  nella  giurisprudenza  delle
leggi specie in correlazione con altri diritti di pari dignita'. 
    Come e' stato efficacemente  sentenziato  dalla  Corte  «Tutti  i
diritti  fondamentali  tutelati  dalla  Costituzione  si  trovano  in
rapporto di  integrazione  reciproca  e  non  e'  possibile  pertanto
individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri.
La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie
di  norme  non  coordinate  ed  in  potenziale  conflitto  tra  loro»
(sentenza n. 264 del 2012). Se cosi'  non  fosse,  si  verificherebbe
l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe  «tiranno»
nei confronti delle altre  situazioni  giuridiche  costituzionalmente
riconosciute  e  protette,  che  costituiscono,  nel  loro   insieme,
espressione della dignita' della persona. 
    Quindi, tra pari diritti  di  rilievo  costituzionale  in  gioco,
nessun diritto fondamentale e' protetto  in  termini  assoluti  dalla
Costituzione, ma - al contrario - e' soggetto a limiti per integrarsi
con una pluralita' di altri diritti e valori. 
    Se questo e' vero, dunque, non puo' apoditticamente affermarsi la
prevalenza del diritto alla personalita' su ogni altro diritto (8)  ,
essendovene altrettanti su valori pregnanti da  controbilanciare  con
criteri di ragionevolezza e proporzionalita'. 
    Criteri che,  se  da  un  lato  devono  considerare  la  «massima
espansione delle tutele» di tutti  i  diritti  coinvolti,  dall'altra
devono tener, sul piano degli effetti, che se una normativa sacrifica
parzialmente un  diritto  fondamentale  deve  esservi  corrispondente
beneficio di altri interessi di pari rilievo. 
    Di detto bilanciamento la Corte ha  fatto  ampio  uso  quando  ha
individuato interessi costituzionali  «atipici»  (nel  senso  di  non
nominati  in  Costituzione):  ad  es.,  il   diritto   delle   coppie
omosessuali alla  regolazione  giuridica  della  propria  convivenza,
ricavato dall'art. 2 della Costituzione; il diritto dell'adottato  di
conoscere le proprie origini, ricavato dall'art. 2 della Costituzione
come componente del diritto all'identita'; la  generale  liberta'  di
autodeterminazione. 
    In materia affine  l'intervento  della  Corte  piu'  prossimo  e'
quello   della   valutazione   degli   interessi   coinvolti    dalla
rettificazione di  sesso  di  un  coniuge,  facendo  sopravvivere  il
matrimonio anche quando i due  coniugi  abbiano,  per  effetto  della
mutazione, oramai lo stesso sesso. Con la  sentenza  n.  170/2014  si
disse, bilanciando i valori: «La fattispecie peculiare che viene  qui
in considerazione coinvolge, infatti, da un lato,  l'interesse  dello
Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio  (e  a
non consentirne, quindi, la prosecuzione, una volta  venuto  meno  il
requisito essenziale  della  diversita'  di  sesso  dei  coniugi)  e,
dall'altro  lato,  l'interesse  della  coppia,  attraversata  da  una
vicenda di rettificazione di sesso, a che l'esercizio della  liberta'
di scelta  compiuta  dall'un  coniuge  con  il  consenso  dell'altro,
relativamente  ad  un  tal  significativo  aspetto  della   identita'
personale, non  sia  eccessivamente  penalizzato  con  il  sacrificio
integrale della dimensione giuridica del preesistente  rapporto,  che
essa vorrebbe, viceversa, mantenere in essere». 
    Com'e' stato acutamente  osservato  dalle  dottrine  straniere  i
principi costituzionali  sono  «precetti  di  ottimizzazione»,  ossia
precetti che non necessariamente  richiedono  un  rispetto  assoluto,
bensi' il maggior grado di osservanza. compatibile con le contingenze
fattuali e giuridiche, di talche' la scelta tra i valori  compatibili
passa necessariamente attraverso un adeguato bilanciamento,  talvolta
in grado di far spostare la leva a seconda dei valori coinvolti. 
    Ad esempio, il legislatore soddisfa il principio di tutela  della
salute  (art.  32  della  Costituzione)  tenendo  conto   di   quello
dell'equilibrio finanziario (art. 81 della  Costituzione),  dando  al
primo un peso maggiore o minore a seconda del  proprio  orientamento;
il legislatore  soddisfa  il  principio  di  ragionevole  durata  del
processo (art. 111 della Costituzione) in misura maggiore  o  minore,
tenendo conto, ad  es.,  del  principio  di  cui  all'art.  24  della
Costituzione (diritto di difesa). 
    Come   sostiene   la   dottrina    costituzionalistica    occorre
distinguere,  all'interno  della  Costituzione,  tra   «principi»   e
«regole», i primi possibili di bilanciamento, le seconde da applicare
senza opzioni. 
    Certe volte principi e regole  stanno  insieme:  l'inviolabilita'
della liberta' personale e' un  principio  ma  la  riserva  di  legge
assoluta e' una regola. La tutela della salute e'  un  principio,  ma
l'intangibilita' del contenuto minimo del diritto alla salute e'  una
regola. 
    Cio' anteposto, e' stato piu' volte posto in rilievo come  valori
costituzionalmente rilevanti quali la manifestazione del pensiero, la
liberta' di coscienza,  la  dignita'  umana,  l'iniziativa  economica
privata e simili, hanno si' rilievo primario  ma  devono  pur  essere
contemperati con l'ordine sociale, con il costume corrente e  con  le
regole di tollerabile convivenza (Corte costituzionale n. 141/1996). 
    Il diritto e' pieno di regole che  astrattamente  si  pongono  in
contrasto col principio di  autodeterminazione  o  della  tendenziale
massima espansione della personalita'  in  tutte  le  sue  forme:  e'
vietato, ad esempio, circolare in luoghi pubblici nudi (9)  ;  andare
in motocicletta senza casco anche se  maggiorenni;  fare  schiamazzi;
accedere in aree protette senza permesso, etc. 
    Ove si volesse ritenere che sempre e comunque prevale  la  scelta
individuale  della  persona  detti   limiti   non   dovrebbero   piu'
ammettersi. Eppure  la  Corte  costituzionale  (n.  180/1994)  reputa
legittima la norma che impone l'uso del casco a chi vuole  andare  in
motocicletta a tutela imposta della sua stessa salute. La salute,  in
questo caso, assume pregnanza prevalente  ed  imposta  rispetto  alla
libera scelta dell'individuo, a dimostrazione di un bilanciamento non
irragionevole ma che vede recessivo l'interesse  della  persona  alla
piena estrinsecazione del proprio ego. Eppure nessuno  (ancora  oggi,
nonostante una mutata concezione della societa' e qualche sentenza di
segno contrario) nega che mostrarsi in pubblico con i propri genitali
sia offensivo e sanzionato come reato, essendo, a questo  punto,  non
piu' un problema soggettivo di esplicazione della personalita' ma  di
interrelazione con gli altri esseri. 
    Cosi', ancora, in tema di  vaccinazioni  obbligatorie  ovvero  di
trattamenti sanitari obbligatori. 
    Cioe' a dire che  la  piena  estrinsecazione  della  personalita'
umana ben puo' subire regole e limitazioni. 
    E normalmente il bilanciamento e' fatto tra  norme  dello  stesso
rango:  l'art.  21  della  Costituzione,  mettendo  in  relazione  la
liberta' di pensiero e il  divieto  di  manifestazioni  contrarie  al
«buon costume», traccia uno schema di  bilanciamento  applicabile  in
concreto. Cosi', nel giudizio intorno al reato  di  pubblicazione  di
stampati con immagini impressionanti o  raccapriccianti  in  modo  da
turbare il comune sentimento della morale e l'ordine familiare  o  da
poter provocare il diffondersi di delitti o suicidi, il  rigetto  del
dubbio di legittimita', sollevato con riferimento proprio al  primato
della  liberta'  di  stampa,  viene  argomentato   sulla   base   del
significato  del  buon  costume,  inteso  come  «comune  senso  della
morale». 
    Secondo dottrine accreditate, il controllo di proporzionalita' si
dipana in tre test che la Corte e' chiamata a fare  in  questi  casi:
necessita', sufficienza e proporzionalita'. 
    Per la «necessita'», si richiede che  la  scelta  di  limitare  o
postergare  un   diritto   o   un   interesse   costituzionale   deve
giustificarsi per la necessita' di dare attuazione a un altro diritto
o interesse di pari rango. 
    Per la «sufficienza» deve essere dimostrato che nel  privilegiare
un interesse o un diritto la disciplina positiva pur sempre  soddisfi
in maniera non insufficiente le esigenze di garanzia dell'interesse o
del diritto limitato o ristretto, «valutando l'interazione  reciproca
tra  l'accrescimento  di  tutela   dell'uno   e   la   corrispondente
diminuzione di garanzia dell'altro, come disposti dal legislatore  in
vista della composizione dell'eventuale contrasto». 
    I limiti o la compressione  di  un  diritto  o  di  un  interesse
costituzionale devono  essere,  infine,  «proporzionati»  ovvero  non
eccessivi in relazione alla misura del sacrificio  costituzionalmente
ammissibile che, in ogni caso, non puo' mai essere tale da annullarne
il contenuto essenziale. 
    Piu' in particolare la stessa Corte costituzionale  ha,  talvolta
implicitamente, effettuato detti bilanciamenti di valori, quando,  ad
esempio, ha posto in correlazione proprio l'art. 2 con la liberta' di
espressione di pensiero ex art. 21 della Costituzione in  riferimento
al «buon costume» (sent. n. 368/1992)  o  alla  «morale»  del  comune
senso di sentire (sent. n. 293/2000), del costume corrente (sent.  n.
168/1971) o  ad  altri  valori  costituzionalmente  rilevanti  (sent.
86/1974 - 11/1968), fissando regole di adeguata proporzionalita'. 
    Pur ripudiandosi la tesi che la mutazione di genere anagrafica  e
senza   intervento   chirurgico   leda   direttamente   i    principi
sopraindicati, indubbiamente e' inevitabile come  una  soluzione  del
genere determini nella vita di tutti i giorni pesanti ricadute  nella
vita delle altre persone quante volte i  caratteri  sessuali  primari
per scelta o circostanze del caso possano o debbano essere  mostrati,
emergendo a questo punto l'esigenza di raccordo tra diritti individui
e diritti della collettivita'. 
    Orbene, com'e' evidente, nessuna delle  suddette  valutazioni  ha
compiuto in precedenza la Corte  costituzionale  su  questi  aspetti,
sicche' il giudice di merito  e'  certamente  libero  di  trovare  la
soluzione piu' appropriata pur sempre nel solco  dell'interpretazione
costituzionalmente orientata, nell'alveo di un adeguato bilanciamento
tra le giuste esigenze dell'istanze di parte e quelle, di altrettanta
rilevanza costituzionale, al rispetto del comune modo di sentire, del
lavoro, della tutela dei minori, etc. (10) 
    Detta in parole  povere  dovra'  darsi  pieno  riconoscimento  al
mutamento di sesso, anche senza  intervento  sui  caratteri  sessuali
primari,  quelle  volte  in  cui  per  caratteristiche  innate,   per
precedenti interventi o per altra causa  il  richiedente  abbia  gia'
tutte quelle caratteristiche tipiche del genere opposto (e mai  terzo
genere) cui vuole  accedere,  senza  che  nella  collettivita'  possa
sorgere imbarazzo, disorientamento, disdoro, incertezza a seconda del
modo di interpretare o sentire le cose. La pur apprezzabile  esigenza
del singolo a vedere adeguate le risultanze anagrafiche, in  sintesi,
non puo' tradursi in un aggravio per la societa' (cui pur si  annette
un generale dovere di solidarieta' sociale), al punto da esigere sino
che siano i piu' a doversi adeguare alle esigenze delle minoranze. 
    Se, infatti, in conseguenza del cambio anatomico di sesso  nessun
problema sociale si genera in quanto il soggetto assume sembianze  in
tutto e per tutto riallineate a quelle del genere  opposto,  per  chi
non  esegue  l'operazione  indubbiamente  si  determinano   parecchie
conseguenze anche di rilevanza sociale. 
    Come e' stato piu' volte  evidenziato,  la  Carta  costituzionale
tutela e  garantisce  i  diritti  delle  minoranze.  Il  concetto  di
minoranza, inteso come gruppo di persone che si distingue per qualche
aspetto  da  tutti  gli  alti,   e'   difficilmente   precisabile   e
«potenzialmente infinito, perche' infiniti sono i possibili  elementi
di distinzione: si puo' appartenere ad una minoranza in quanto uomo o
in quanto donna, in quanto religioso o  in  quanto  ateo,  in  quanto
analfabeta o in quanto laureato» (11) . 
    Tuttavia, proprio nella suddetta affermazione  e'  indubbio  come
l'identita' sia,  allo  stato  della  legge  vigente,  esclusivamente
confinata nel duopolio uomo / donna, senza che possa riconoscersi  un
carattere di prevalenza di genere fondata su labili  e  vaghi  valori
percentuali di dominanza dei caratteri secondari su quelli primari. 
    Anche a voler seguire la tesi  piu'  largheggiante,  e'  indubbio
come si ponga, a questo punto, un rilevante problema di tutela  delle
maggioranze, ponendosi una questione di parita' di  trattamento,  per
cosi' dire, all'incontrario, dovendo, a questo punto, stabilirsi come
la  maggioranza  debba  integrarsi   ed   attrezzarsi   per   rendere
compatibile il trattamento dei mutati di sesso senza operazione con i
diritti degli alti consociati a  ricevere  servizi  differenziati  in
ragione dell'appartenenza ad un sesso anziche' all'altro. 
    Mutuando elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali  in  materie
affini - come quelle religiose  o  linguistiche,  con  richiami  agli
articoli 6, 7, 8 della Costituzione (peraltro riassunte nello scritto
citato  nella  nota  precedente),  lo   Stato   deve   rimuovere   le
discriminazioni   che   si   pongono   nell'esercizio   dei   diritti
fondamentali ma anche attivarsi per una tutela «positiva» o  «attiva»
delle stesse 21, quale «forma di necessaria attuazione del  principio
di uguaglianza, inteso in senso "sostanziale"». 
    E', tuttavia, ben chiaro  come,  il  riconoscimento  dei  diritti
fondamentali non significa  conseguentemente  attribuire  al  singolo
poteri  di   adeguamento   dell'apparato   alle   proprie   esigenze:
riconoscere all'individuo il proprio diritto d'identita'  linguistica
non implica, ad esempio, che la scuola debba aprire  un  corso  della
lingua  di  appartenenza.  Riconoscere  il  diritto  di  appartenenza
religiosa non implica che lo Stato debba costruire  luoghi  di  culto
differenziati. 
    Viceversa, sul  diritto  di  genere,  le  problematiche  derivate
potrebbero essere infinite. Intervenendo per via pretoria sulla  sola
legge sul cambiamento di sesso, stabilendo l'equipollenza anagrafica,
detti obiettivi non sono affatto raggiungibili, creandosi  situazioni
di obiettivo disagio tanto per lo stesso  interessato,  che  potrebbe
essere trattato in modo diverso a seconda  della  sensibilita'  degli
interlocutori, tanto per la collettivita' nel suo complesso. 
    In definitiva,  pur  salvaguardata  l'identita'  sessuale  (Corte
costituzionale n.  161  del  1985)  e  la  liberta'  sessuale  (Corte
costituzionale n.  561  del  1987),  mancano  ulteriori  addentellati
costituzionali    per    giustificare    un    passaggio    ulteriore
all'adeguamento  che  la  societa'  dovrebbe  fare   per   supportare
l'integrale esplicazione del diritto in questione. Come dimostrano  i
piu' recenti studi comparati di altri ordinamenti sull'argomento,  e'
soltanto con interventi normativi coordinati e complessivi  che  puo'
realizzarsi obiettivamente la piena integrazione richiesta. 
    In questi termini, dunque, l'aspetto  che  ora  interessa  dovra'
essere valorizzato alla luce delle risultanze accluse agli atti. 
4 - Gli esiti degli accertamenti svolti. 
    Prima di approfondire, anche in questo caso e'  utile  riprendere
buona parte della conclusionale di parte attrice. Si  sostiene  nella
stessa quanto di seguito. 
    «.......la  storia  clinica  e  psicologica  e  l'evoluzione  del
vissuto dell'attrice, ci si riporta all'atto introduttivo,  ribadendo
in questa sede che la graduale femminilizzazione del corpo  derivante
dall'inizio della terapia ormonale,  iniziata  alla  fine  del  2013,
veniva  accompagnata  da  un  evidente   miglioramento   del   quadro
psicopatologico, consentendogli di vivere con maggiore  serenita'  il
rapporto con il proprio corpo, ma anche di sentirsi piu' sicura nelle
relazioni sociali ed affettive, che sono  aumentate  all'esito  della
terapia ormonale ed hanno portato  anche  ad  una  stabile  relazione
sentimentale, con un uomo (doc. 1 e 2). 
    L'attrice utilizza ormai da tempo il nome di "A.", nome da cui si
sente identificata e che  viene  utilizzato  anche  da  familiari  ed
amici. 
    Tuttavia permangono le difficolta' legate all'impatto sociale  di
riconoscersi in un corpo sempre piu' femminile ma con  una  identita'
anagrafica  maschile  che  risulta  essere  limitante   nella   sfera
socio-lavorativa. 
    La rettificazione anagrafica  dell'identita'  di  genere  appare,
quindi,  una  tappa  fondamentale  nel  percorso  di  trasformazione,
nonche' per una maggiore integrazione sociale e lavorativa. 
    L'incongruenza tra i dati anagrafici riportati sui  documenti  di
identita' ed il suo aspetto, esteriore ed interiore, creano in A.  un
disagio insostenibile  in  una  societa'  non  pronta  ad  accogliere
serenamente la predetta discrasia. 
    In quest'ottica e nel pieno  rispetto  dei  diritti  fondamentali
costituzionali e anche sovrannazionali, ed in  ossequio  ai  principi
giurisprudenziali  succintamente  gia'  riportati,  il  Tribunale  e'
chiamato, nel caso di specie, ad accertare il radicato  convincimento
di   appartenenza   al   genere   femminile,   l'integrazione   delle
caratteristiche femminili gia' acquisite con l'identita'  psicofisica
(e, senza che sia avvertito il contrasto con la realta'  anatomica  e
la necessita' di sottoporsi all'intervento chirurgico di  amputazione
dei  genitali  maschili  e  costruzione  di  quelli   femminili)   la
consolidata modifica dei caratteri sessuali secondari nonche' il  suo
carattere  definitivo  a  prescindere  da  un  eventuale   intervento
chirurgico, principi tra l'altro  gia'  condivisi  dal  Tribunale  di
Avezzano nella sent. n. 754/2014. 
    Nel   caso   di   specie,   risulta   inequivocabilmente    dalla
documentazione medica che  l'attrice  ha  acquisito  una  consolidata
modifica dei caratteri sessuali secondari  e  sviluppato,  sul  piano
psichico  un  radicato  convincimento  di  appartenenza   al   genere
femminile senza avvertire la  necessita'  di  adeguamento  chirurgico
anatomico  ovvero  senza  avvertire  la  necessita'   dell'intervento
chirurgico di amputazione dei genitali maschile  e  ricostruzione  di
quelli femminili. 
    La disforia di genere,  avvertita  sin  dalla  puberta',  sebbene
segni di disagio fossero  presenti  fin  dall'infanzia  anche  se  in
maniera ancora inconsapevole,  aveva  portato  A.  a  sviluppare  una
sintomatologia depressiva che e' regredita e si  e'  risolta  solo  a
seguito dell'inizio della terapia farmacologia  di  femminilizzazione
(doc. 1). 
    Durante il colloquio con il CTU l'attore "esprime il desiderio di
ottenere la riattribuzione anagrafica dell'identita' di  genere,  per
lui  vissuta  non  solo  come  tappa  fondamentale  nel  percorso  di
trasformazione ma anche come condizione importante per  una  maggiore
integrazione socio-lavorativa". 
    Sul lato prettamente ovvero sull'aspetto, il ricorso alla terapia
ormonale c.d. "femminilizzante" ha determinato da un  lato  la  netta
riduzione  e/o  atrofia  dell'attivita'  testicolare  e/o  un   quasi
azzeramento  delle  funzioni   sessuali   maschili,   e   dall'altro,
ginecomastia, riduzione di ricrescita del  pilifero  e  modificazione
della distribuzione dell'adipe. 
    Le caratteristiche femminili risultano, pertanto,  integrate  con
l'identita' psicofisica e certamente non piu' reversibili. 
    E' escluso, quindi, che l'intervento chirurgico di rettificazione
possa  essere  considerato  nel  caso   di   specie   necessario   al
completamento  dell'acquisizione  della  nuova  identita'  di  genere
mentre  risulta  indispensabile   allo   scopo,   la   riattribuzione
anagrafica dell'identita' di genere quale tappa conclusiva  dell'iter
di trasformazione. 
    Alle medesime conclusioni e' pervenuto il CTU: "T. S.  percepisce
la propria identita' sessuale come sesso femminile e per il mutamento
effettivo di sesso non e' necessario l'intervento chirurgico  (tenuto
anche conto dell'espresso desiderio di non sottoporvisi, da parte del
periziato, il cui tono dell'umore peggiora gravemente  al  pensiero);
l'intervento chirurgico sarebbe giustificato solo  se  finalizzato  a
ridurre il disagio e non  a  peggiorarlo;  sussiste  nell'Attore  una
identificazione formale sotto il profilo psicologico, tale da rendere
necessario il mutamento dei  dati  anagrafici  e  tratti  somatici  e
caratteri sessuali secondari.... Si puo' concludere che T. S.  e'  in
possesso dell'idoneita' psicofisica al cambiamento di genere". 
    Anche nella relazione clinica della dott.ssa  Annadelia  Cipolla,
psicologa incaricata dal CTU, si legge: "La paziente  [...]  presenta
chiaramente  caratteri   secondari   del   tutto   femminili   e   un
abbigliamento congruente con il  sesso  di  identificazione.  Risulta
evidente un'incongruita' tra sesso biologico e  identita'  di  genere
[...]. Attualmente A. oltre a presentare un aspetto femminile,  e  ad
identificarsi come tale, evidenzia un reale  disagio  sociale  legale
all'identita' anagrafica maschile che  assume  una  valenza  negativa
soprattutto in ambito sociale e lavorativo. Nei colloqui e' emerso il
desiderio  primario  di  cambiare  identita'  anagrafica  alfine   di
migliorare la propria qualita' della vita seppur allo  stato  attuale
non appaia  ancora  fondamentale  una  riattribuzione  chirurgica  di
sesso". In conclusione da un lato l'accertamento giudiziale (la  CTU)
ha portato al riconoscimento di  quanto  gia'  dedotto  nell'atto  di
citazione circa la diagnosi di disforia di  genere  (dalla  CTU:  "il
punteggio della scala Mf, che si riferisce alle  differenze  tra  gli
uomini  e  le  donne  risulta  essere  abbastanza  elevato  (mf  73),
tipicamente alti punteggi vengono riscontrati in soggetti transgender
come nel  caso  di  specie")  e  modificazione  certa  dei  caratteri
sessuali (sempre  dalla  CTU:  "l'aspetto  esteriore  e'  tipicamente
femminile, con assenza della  caratteristica  distribuzione  pilifera
maschile (la cute e' depilata e  liscia,  anche  grazie  ai  ripetuti
trattamenti estetici. Presenza di ginecomastia,  modificazione  della
distribuzione dell'adipe con caratteristiche ginoidi  [...]  Presenta
chiaramente  caratteri   secondari   del   tutto   femminili   e   un
abbigliamento congruente con il sesso di  identificazione  e  risulta
evidente un'incongruita' tra sesso biologico e identita' di  genere")
dall'altro viene esclusa la necessita' dell'intervento chirurgico nel
caso di specie non solo non necessario al completamento del mutamento
dell'identita' di genere ma  addirittura  peggiorativo  del  disagio:
"Tono dell'umore, durante la visita appare leggermente livellato  sul
versante  depressivo;  peggiora  notevolmente  in   concomitanza   di
pensieri intorno alla eventuale prescrizione, da parte  del  Giudice,
della necessita' di intervento chirurgico per  il  cambio  di  genere
(che  il  periziato  rifiuta  decisamente)  [...]  Assenti  ansia   o
particolari preoccupazioni. Mostra solo preoccupazione riguardo ad un
eventuale  intervento  chirurgico  al  quale  sarebbe   costretto   a
sottoporsi per il cambio di genere (lo esclude nettamente e asserisce
che 'questo pensiero mi ha frenata, in passato'". (cit. CTU). 
    Non esistono ulteriori  impedimenti  per  la  rettifica  come  da
parere positivo del PM». 
    Com'e' agevole riassumere, l'attore reputa di aver  raggiunto  un
sufficiente gado di maturazione prevalentemente psicologica per poter
accedere al mutamento di genere, avendo peraltro iniziato un percorso
di «femminilizzazione» solo a partire dall'anno 2013. 
    Interessanti sono alcuni  passi  della  relazione  di  consulenza
tecnica d'ufficio. Il dott. Di Salvatore scrive: ..« ...Riferisce  di
essersi identificato in un corpo femminile gia' dalla prima  infanzia
e da qualche anno si fa chiamare con il nome di donna «A.». 
    Esclude espressamente l'intervento chirurgico  per  modificare  i
caratteri sessuali secondari» (verosimilmente  si  tratta  di  errore
materiale, dovendosi intendere il riferimento ai caratteri primari). 
    Aggiunge il consulente  «...L'aspetto  esteriore  e'  tipicamente
femminile, con assenza della  caratteristica  distribuzione  pilifera
maschile (la cute e' depilata e  liscia,  anche  grazie  ai  ripetuti
trattamenti estetici). 
    Presenza  di  ginecomastia,  modificazione  della   distribuzione
dell'adipe con caratteristiche  ginoidi,  testicoli  in  sede  e  con
ridotto trofismo, non varicocele, pene normale» ... «In  seguito,  T.
S. ha effettuato  un  colloquio  con  una  psicologa  specialista  in
sessuologia e ha quindi intrapreso la terapia ormonale  antiandrogena
e femminilizzante». 
    Riportando i dati di uno psicoterapeuta  il  dott.  Di  Salvatore
scrive «... Nel tempo si sono osservate  sensibili  modificazioni  in
senso ginoide  dei  caratteri  sessuali  secondari  (mammella,  peli,
adipe, testicoli, ecc.). Ha mostrato ottima compliance alla  terapia,
ha subito  un  chiaro  miglioramento  del  tono  dell'umore  e  delle
relazioni sociali, rispondendo  completamente  alle  aspettative  del
test di vita reale». Lo specialista conclude: «Per quanto riguarda il
giudizio di mia competenza, il/la signor/signora T. S. e' idonea alla
prosecuzione dell'iter transizionale"». 
    Riporta, inoltre, che nel periodo  di  osservazione  il  paziente
assume farmaci «Androcur (ciproterone acetato), Progynova (estradiolo
valerato),   Spirolang   (spironolattone),    tutti    con    effetti
antiandrogeni e/o femminilizzanti» e  che  «...  il  punteggio  della
scala Mf che si riferisce alle differenze tra gli uomini e  le  donne
risulta essere abbastanza elevato (mf 73), tipicamente alti  punteggi
vengono  riscontrati  in  soggetti  transgender  come  nel  caso   in
questione». 
    Conclude nei seguenti termini: «T. S. presenta  una  Disforia  di
genere DSM 5) che ha avuto  un  esordio  precoce  con  manifestazioni
evidenti  fin  dall'infanzia,  continuato  poi   in   adolescenza   e
conclamato in eta' adulta.  La  condizione  e'  associata  a  disagio
clinicamente significativo e a  compromissione  dell'area  sociale  e
lavorativa. 
    Tenuto conto  dell'anamnesi,  del  colloquio  psico-sessuologico,
della  visita  medica,  le  visite  e   le   terapie   specialistiche
andrologiche, i test di personalita', gli esami  di  laboratorio,  le
condizioni mentali attuali, si puo' concludere che, anche  a  seguito
della terapia ormonale  e  percorso  psicologico  in  atto,  come  da
documentazione  in  atti,  T.  S.  percepisce  la  propria  identita'
sessuale come sesso femminile e per il mutamento effettivo  di  sesso
non  e'  necessario  l'intervento  chirurgico  (tenuto  anche   conto
dell'espresso desiderio di non sottoporvisi, da parte del  periziato,
il  cui  tono  dell'umore  peggiora  gravemente  al  solo  pensiero);
l'intervento chirurgico sarebbe giustificato solo  se  finalizzato  a
ridurre il disagio e non  a  peggiorarlo;  sussiste  nell'Attore  una
identificazione formale sotto il profilo psicologico, tale da rendere
necessario il mutamento dei  dati  anagrafici  e  tratti  somatici  e
caratteri  sessuali   secondari;   non   sussiste   nell'attore   una
conflittualita' tra sesso anatomico e identita' di genere. 
    Si puo' concludere che T.  S.  e'  in  possesso  della  idoneita'
psicofisica al cambiamento di genere». 
    Sennonche'  dette  conclusioni  non   solo   non   esprimono   un
definitivo, irreversibile cambiamento  di  genere,  legittimando,  se
ammesse, il pieno  riconoscimento  del  transgender  che  proprio  la
Cassazione ha escluso come tertium genus, per  quanto  comporterebbe,
quale implicita conclusione, un'analisi  solo  delle  caratteristiche
psichiche del soggetto agente, restando molto  sfumate  le  identita'
sessuali secondarie di cui pur si dovrebbe tener conto. 
    Se si ripudiasse l'orientamento espresso da alcuni tribunali  (si
e' citato in premessa tribunale  Savona)  in  quanto  non  linea  con
quanto  affermato  dalla  Corte  costituzionale  e  dalla  Cassazione
nell'anno 2015, e, quindi, esclusa  la  rilevanza  dei  soli  aspetti
psicologici  o  della  cura  ormonale,  evidentemente  il  test   sui
caratteri sessuali secondari non potrebbe essere cosi' evanescente da
includere   solo   una   diminuzione   della   superficie    pilifera
(principalmente dovuta a depilazione) o una non  meglio  identificata
ginecomastia (caratteri presenti in molti uomini pur non  affetti  da
fenomeni transgender). 
    Ne', a maggior  ragione,  vestirsi  come  una  donna  disvela  la
definitiva trasmigrazione all'altro genere. E cio' tenuto  conto  del
fatto che le cosiddette non  meglio  precisate  cure  femminilizzanti
sono iniziate solo nell'anno  2013  e  la  causa  e'  stata  proposta
nell'anno 2015, sicche' non v'e' neppure quel  consistente  lasso  di
tempo  che  fece  affermare  in  alcune  pronunzie  storiche   essere
rilevante il lasso temporale di percezione, anche nella societa',  di
detto mutamento. 
    E' appena il caso di rilevare come i tecnici parlino di idoneita'
alla prosecuzione dell'iter transizionale  e  non  gia'  di  avvenuta
maturazione; di percezione autonoma della condizione femminile e  non
gia' della obiettiva percezione  da  parte  della  collettivita';  di
punteggio nella scala Mf a 73 e non  gia'  a  100  o  poco  meno;  di
caratteristiche   sessuali   primarie   tipiche   dell'uomo    (pene,
testicoli); di ginecomastia (fenomeno tipicamente maschile) e non  di
seno (di cui fa cenno  uno  psicoterapeuta  di  parte,  indicando  le
«mammelle», senza  che  il  dott.  Di  Salvatore  confermi  il  dato,
limitandosi ad evidenziare la suddetta ginecomastia). 
    Il tutto a dimostrazione dell'assenza delle caratteristiche piene
ed integrali delle donne, dell'astratta reversibilita' della scelta e
di una «convinzione» del richiedente  che  e'  possibile  documentare
solo di recente. 
    D'altra parte, se il  medesimo  e'  oramai  consapevole  del  suo
status attuale, al punto da vestirsi tipicamente da doma e  convivere
stabilmente con un uomo, evidentemente  quelle  esigenze  che  a  suo
tempo diedero luogo a fenomeni  depressivi  proprio  in  ragione  del
disagio  percepito  devono  ritenersi  sopite,  tant'e'  che  l'unica
giustificazione plausibile della ragione della richiesta il  T.  l'ha
fornita in sede di sua personale audizione, affermando di  non  voler
piu' spiegare alle forze dell'ordine di essere sostanzialmente doma e
non uomo come risulta dai documenti d'identita'. 
    Ma questa esigenza - pur apprezzabile e comprensibile - non  puo'
essere valorizzata sino al  punto  da  annichilire  tutti  gli  altri
elementi di cui sopra si e' detto, dovendo  certamente  esservi  piu'
una maggior serie di valori da ponderare in quel che la stessa  Corte
di cassazione ritiene essere un giudizio rigoroso. 
    Sotto l'aspetto «relazionale» infine, proprio  le  considerazioni
precedenti, disvelano la difficolta' di risolvere  per  via  pretoria
quel  che  e'  uno  problema  atavico  ancora  oggi   irrisolto   dal
legislatore nostrano, come peraltro anche in altri ordinamenti. 
    In    questi    termini,     una     interpretazione     aderente
all'interpretazione    delle    norme    cosi'     come     suggerita
dall'interpretazione della S.C. e della Corte costituzionale nel 2015
porterebbe verso la strada del rigetto della petizione di parte. 
5 - La soluzione piu' favorevole. 
    Tuttavia, laddove volesse accedersi alla tesi piu'  favorevole  -
come pur potrebbe farsi in  ragione  della  valorizzazione  integrale
delle caratteristiche psico-fisiche individuali  piu'  volte  addotte
dalla   S.C.   e   dalla   Corte   costituzionale   -   evidentemente
discenderebbero conseguenze rilevanti. 
    Ammettere l'attuale attore al trattamento di genere vorrebbe dire
legittimarlo  a  comportarsi  da  donna  in  tutte   quelle   tipiche
manifestazioni delle attivita' umane che  comportano  contatto  anche
solo visivo degli organi sessuali primari con i terzi. Dal  mutamento
anagrafico egli sarebbe  legittimato  a  dare  piena  estrinsecazione
della personalita' femminile e  con  corrispondente  possibilita'  di
esporre i suoi caratteri sessuali primari (maschili) alla presenza di
donne  o  minori,  senza  minimamente   doversi   preoccupare   della
potenziale lesivita' dei diritti costituzionalmente  garantiti  delle
altre persone (cosi' come intesi nella tradizione millenaria). 
    Negli  stessi  termini  egli   avrebbe   diritto   a   pretendere
trattamenti equiparati a quelli femminili, esponendo la collettivita'
ad incertezze ovvero a possibilita' di obiezione per il contrasto tra
identita' cartolare e quella effettiva. 
    In definitiva, la valorizzazione di una sua scelta interiore (dal
punto di vista dei caratteri sessuali certamente non affini a  quelli
femminili) obbligherebbe la societa' intera  ad  un  adeguamento  non
irrilevante ne' indolore. 
    A ben vedere,  piu'  complessivamente,  non  vi  sarebbe  nessuna
persistente ragione per  mantenere  la  separazione  uomini  /  donne
riscontrabile in tante attivita' della  vita  quotidiana,  dovendosi,
per gli stessi principi d'uguaglianza e rispetto dell'individualita',
assecondare qualsiasi richiesta di frequentazione di reparto  opposto
quante volte il soggetto dichiari di trovarsi meglio altrove.  A  ben
vedere,   attraverso   opzioni   tautologiche   di   scarso   rilievo
scientifico,  si  finirebbe  per   dare   piena   legittimazione   al
transessualismo pur negato dalla Corte di cassazione nelle sue  forme
«ibride». 
    Ma cio' non sembra consentito dalla normativa vigente ne'  affine
al comune modo di sentire, benche' non possa negarsi  l'auspicio  che
il legislatore  intervenga  definitivamente  su  un  problema  oramai
troppo grande per essere ancora eluso. 
6 - La violazione dei parametri costituzionali. 
    Si e' gia'  detto  come,  valorizzando  al  massimo  gli  aspetti
individualistici dovrebbe  darsi  prevalenza  al  dato  singolare  su
quello sociale, rischiando di creare diseguaglianze, per cosi'  dire,
al contrario, laddove, potrebbe risultare violato: 
    l'art.  2  della  Costituzione,  «La   Repubblica   riconosce   e
garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo,  sia  come  singolo  sia
nelle formazioni  sociali  ove  si  svolge  la  sua  personalita',  e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale» nella parte in cui  la  valorizzazione
dei diritti del singolo non collimerebbe con i doveri inderogabili di
solidarieta' sociale, cui lo stesso deve pur attenersi; 
    l'art. 3, primo comma,  della  Costituzione  «Tutti  i  cittadini
hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla  legge,  senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di  opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali» se inteso nel senso che
il diritto del  transgender  ad  ottenere  pieno  riconoscimento  del
genere diverso da quello di nascita e'  prevalente  su  quello  della
gran parte dei consociati a  conservare  il  pieno  duopolio  uomo  /
donna; 
    l'art. 3, secondo comma, della  Costituzione  «E'  compito  della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando  di  fatto  la  liberta'  e  l'eguaglianza  dei  cittadini,
impediscono il pieno  sviluppo  della  persona  umana  e  l'effettiva
partecipazione di tutti  i  lavoratori  all'organizzazione  politica,
economica e sociale del Paese» se  inteso  nel  senso  che  il  pieno
riconoscimento alla mutazione di sesso implichi che la societa' debba
adeguarsi alla sua estrinsecazione anche  verso  minori,  lavoratori,
istituzioni imponendo loro comunque  un  mutamento  dei  tradizionali
valori comunemente accettati, tesi a superare la rigida dicotomia tra
uomo  e  donna,  con  conseguenti  adeguamenti   tali   da   imporre,
alternativamente,  o  la  valorizzazione  del  solo  dato   cartolare
conseguente ovvero, il dispiegamento di risorse umane  ed  economiche
per  superare  la  transizione   e,   quindi,   attrezzare   percorsi
strutturali e metodologie per il trattamento conseguente. 
7 - La rilevanza della questione. 
    Nei  termini  che  precedono  ed  evidenziati  in   sintesi   nei
precedenti paragrafi 5 e 6, qualora  il  contesto  normativo  dovesse
interpretarsi  nella  piu'  favorevole  misura  della  valorizzazione
dell'interesse individuale, la questione di costituzionalita'  appare
rilevante e non manifestamente infondata in quanto dirimente nel caso
in esame. 
    Se, invero, il corpus normativo dovesse interpretarsi  nel  senso
proposto dal ricorrente ed in qualche misura avallato da alcuni passi
delle decisioni indicate, evidentemente dovrebbe  porsi  il  problema
della comparazione con gli altri valori di pari  rilievo  piu'  sopra
evidenziati nel paragrafo 6. 
    La questione, allora, assume rilevanza in quanto, non sembrandovi
esservi  altra  soluzione  costituzionalmente  compatibile,   l'unica
praticabile appare una pronunzia  di  costituzionalita'  che  affermi
direttamente il riconoscimento del tertium genus o, comunque, il buon
diritto del mutato di genere senza cambiamento dei caratteri sessuali
primari ad  ottenere  prestazioni  o  riconoscimenti  dalla  societa'
indipendentemente dai caratteri sessuali primari, sol perche' la  sua
scelta e' assolutamente prevalente rispetto a tutti gli altri  valori
coinvolti. 

(1) Altri tribunali di merito pronunciandosi su  casi  analoghi,  con
    una  lettura  costituzionalmente   orientata   delle   norme   di
    riferimento  avevano  reputato  sufficiente   per   ottenere   la
    rettificazione   l'accertamento   della   transessualita'   degli
    istanti, del loro fermo convincimento  di  appartenere  al  sesso
    opposto  a   quello   attribuito   alla   nascita   nonche'   del
    raggiungimento di uno stabile equilibrio psicofisico,  con  piena
    accettazione del proprio  corpo  (Trib.  Roma  7  novembre  2014,
    inedita; Trib. Messina, 4 novembre 2014; Trib.  Siena  12  giugno
    2013, in NGCC, 2013, I, 1116, con nota di Bilotta; Trib. Roma  11
    marzo 2011 e Trib. Roma, 22 marzo 2011, in NGCC, 2012,  243,  con
    nota di Schuster; Tribunale Roma 18 ottobre  1997  in  Dir.  fam.
    pers., 1998, 1033). Altri, facendo leva  sul  disposto  dell'art.
    31, comma quarto, del decreto legislativo  n.  150  del  2011,  a
    tenore del quale «Quando risulta necessario  un  adeguamento  dei
    caratteri   sessuali   da   realizzare    mediante    trattamento
    medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata
    in giudicato», avevano,affermato che l'adeguamento dei  caratteri
    sessuali mediante  intervento  non  integrasse  affatto,  per  il
    legislatore, condizione indefettibile per la  rettificazione.  In
    particolare, secondo questo  orientamento,  non  potevano  essere
    «costretti al bisturi»  quanti,  aspirando  alla  rettificazione,
    corressero gravi rischi per  la  propria  salute  col  sottoporsi
    all'intervento,  o  semplicemente,  avendo  gia'  completato   il
    percorso di transizione sessuale, non lo ritenessero  utile  ne',
    appunto, necessario (Trib. Rovereto  cit.;  Trib.  La  Spezia  25
    luglio 1987, in Arch. civ. 1987, 1233). 

(2) cosi' Trib. Milano 2 novembre 1983, in Foro it., 1984, I, 582. 

(3) Si pensi alla transizione da donna a  uomo  e  all'imposizione  o
    meno,  ai   fini   della   rettificazione,   dell'intervento   di
    asportazione dell'utero e delle ovaie. Per esempio, nel senso che
    fosse necessaria anche l'asportazione dell'utero, delle  ovaie  e
    delle ghiandole mammarie v. Trib. Bologna 5 agosto 2005  in  Foro
    it., 2006, 12, I, 3542 

(4) Tribunale Pavia 2 febbraio 2006 in Foro it.  2006,  5,  I,  1596;
    Trib. Bologna cit.; Trib.  Benevento  10  gennaio  1986  in  Dir.
    Famiglia 1986, 614 nonche' Riv. it. medicina legale, 1988, 264 

(5) Trib. Cagliari 25 ottobre 1982, Giur. it., 1983, I, 2, 590 

(6) Per le ragioni anzidette e diversamente  da  quanto  sostiene  il
    Tribunale  di  Trento,  con  ordinanza  del  28  aprile  2015  di
    remissione alla Corte costituzionale, opinando «Questo  Tribunale
    si rende  perfettamente  conto  delle  conseguenze  pratiche  che
    comporterebbe una declaratoria di incostituzionalita' (nel  senso
    che, allora, l'esame «esteriore» della persona, sarebbe  inidoneo
    a rilevare il suo sesso); ma cio',  a  ben  osservare,  non  puo'
    ragionevolmente suscitare  alcuna  perplessita',  perche'  in  un
    paese civile  l'identita'  sessuale  viene  accertata  tramite  i
    documenti di identita' e non  certo  per  mezzo  di  un'ispezione
    corporale». E' piuttosto vero che in  molti  casi  contano  anche
    l'aspetto esteriore ed i caratteri sessuali. 

(7) Vedasi, ad esempio, il  regolamento  di  polizia  carceraria  che
    impone l'obbligo di corrispondenza di sesso  tanto  nel  caso  di
    ispezione su  detenuti  che  su  visitatori  sui  quali  cada  il
    sospetto di intromissione di oggetti vietati. 

(8) Negandosi in questa sede dapprima l'identificazione tra la scelta
    personalistica e  il  principio  della  dignita'  umana  e,  poi,
    l'ulteriore  proposizione,  tentata  da  qualche   dottrina,   di
    impossibilita' di bilanciare la dignita' umana con altri diritti,
    giacche' nel nostro ordinamento non ha usbergo  prevalente  sugli
    altri. 

(9) Oltre la contravvenzione di cui all'art. 726 del  codice  penale,
    si rammenta come la Corte dei diritti dell'uomo abbia di  recente
    (anno 2014) affermato essere contrario alla morale  comune  delle
    societa' democratiche odierne andare in giro  in  pubblico  senza
    veli. Eppure, se si volessero mettere  sulla  bilancia  i  valori
    fondanti, certamente l'opinione di chi reclama il  diritto  della
    propria personalita' «nuda» non e' astrattamente meno valente  di
    chi invoca il diritto al sesso che gli  e'  congeniale,  nell'uno
    come nell'altro caso essendovi un desiderio  di  estrinsecare  il
    proprio ego nel modo piu' conforme al personale modo  di  sentire
    le cose. 

(10) E' proprio concomitante alla  stesura  della  motivazione  della
     decisione la notizia della conferma da  parte  del  giudice  del
     lavoro di Venezia del provvedimento disciplinare di  sospensione
     dal lavoro di un docente per alcuni giorni  in  quanto  l'outing
     improvvisamente  comunicato   agli   studenti   non   e'   stato
     «responsabile e corretto»; a dimostrazione di quanto la societa'
     attuale sia ancora lontana dall'aver trovato un assetto compiuto
     su tanto rilevanti interessi. Assetto che, certamente  non  puo'
     essere  imposto  per  provvedimenti  giudiziari  ma   che   deve
     verosimilmente trovare regolazione nella legge. 

(11) Relazione svolta in occasione dell'incontro con  la  delegazione
     della Corte costituzionale  del  Kosovo  il  7  giugno  2013  al
     Palazzo della Consulta.